Giustizia & Impunità

Camorra, record per numero di pentiti e per i detenuti al 41 bis

Il primato, spiegano i magistrati, dipende dal numero elevatissimo dei gruppi camorristici operanti nel distretto antimafia di Napoli, che ha competenza anche su Caserta, Benevento e Avellino

E’ un primato che dimostra la qualità delle investigazioni dei magistrati napoletani, capaci di mettere sempre più alle strette i clan e costringere i boss a “passare dall’altra parte”, spezzando la catena di comando delle cosche. Coi suoi 355 pentiti e 22 testimoni di giustizia la Dda di Napoli è la procura antimafia col il maggior numero di collaboratori di giustizia rispetto a tutte le altre procure distrettuali dello stivale. C’è da essere contenti? Fino a un certo punto, spiegano i procuratori napoletani in una relazione alla Procura Generale che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare. Perché il primato, spiegano, dipende anche dal numero elevatissimo dei gruppi camorristici operanti nel distretto antimafia di Napoli, che ha competenza anche su Caserta, Benevento e Avellino: oltre cento le ‘famiglie’ censite.

E’ un record, quello dei pentiti, che è a sua volta frutto di un altro record: quello dei detenuti assegnati al regime speciale del 41 bis. Sono 289 i camorristi sottoposti a una misura che innegabilmente, come sottolineano i procuratori “incentiva il fenomeno delle collaborazioni con la giustizia”. Sono così tanti che gli istituti di custodia si sono rivelati insufficienti a gestirli. Ma la problematica non può essere aggirata ridimensionando l’uso del 41 bis, che invece, ribadiscono i pm nella relazione, “va adottato ogni qualvolta ne ricorrano i presupposti, senza alcun condizionamento derivante dall’insufficienza delle strutture logistiche”. Perché produce risultati. A cominciare dall’interruzione delle relazioni camorristiche tra i boss che rimangono dentro e i camorristi a piede libero.

Il meccanismo del 41 bis, però, non sempre funziona. Le relazioni possono essere mantenute attraverso i colloqui con i familiari e con i difensori. Avvocati che in qualche caso si prestano a fare da intermediari degli ordini dei capoclan. Emblematico è il caso di Michele Santonastaso, ex legale del boss dei Casalesi Francesco Bidognetti, accusato di essere una sorta di suo ambasciatore fuori dal carcere. Santonastaso è detenuto e in carcere per i reati di associazione camorristica, falsa perizia e corruzione in atti giudiziari. Prima di essere arrestato, nel settembre del 2010, ebbe il suo quarto d’ora di notorietà nel marzo 2008 per aver letto in aula durante il processo d’appello Spartacus un’istanza di trasferimento del dibattimento a Roma, per conto dei suoi clienti Bidognetti e Antonio Iovine, perché a loro dire la corte si sarebbe fatta influenzare dagli scritti di Saviano, del giudice anticamorra Raffaele Cantone e della giornalista de ‘Il Mattino’ Rosaria Capacchione (dalla settimana successiva, anche alla Capacchione venne assegnata la scorta).

Nei giorni scorsi Anna Carrino, ex compagna di Bidognetti, ha confermato in aula le accuse verso l’avvocato: Santonastaso le chiese, ottenendoli, 100.000 euro da girare a un perito del Tribunale di Napoli affinché falsificasse una perizia fonica a carico di Aniello Bidognetti (figlio di Francesco), facendolo scagionare. La signora Carrino è una collaboratrice di giustizia dal 2008. Le sue dichiarazioni stanno infliggendo colpi importanti alla tenuta del clan Bidognetti. La Carrino è uno dei 280 casi di programma speciale di protezione a cura della Dda. Altri 65 pentiti sono titolari di un piano provvisorio di protezione (più un caso di revoca). Infine, dieci collaboratori sono in attesa. Senza i pentiti molte indagini sarebbero ferme alla casella di partenza. “Le loro dichiarazioni – affermano i magistrati dell’ufficio della Procura – continuano ad essere una fonte di prova indispensabile, anzi insostituibile, pur se sempre più spesso associata ad altre fonti e mezzi di prova, specialmente alle intercettazioni telefoniche ed ambientali”.