Politica

La fatica della democrazia

La verità è che le primarie non vanno né santificate né demonizzate, ma semplicemente fatte: ogni volta che si celebrano, finiscono per stravolgere i parametri sempre più astratti della politica, fanno irrompere in scena il peso del consenso, la fatica del voto, il sudore della politica e la terrificante necessità del carisma, persino nelle pietrificate salmerie di centrosinistra.

C’è stato un solo caso in cui le primarie non hanno funzionato, finora: a Napoli, con il loro corredo grottesco di manipolazioni e cinesi in fila. Il problema però non era lo strumento, ma – come è noto – la sinistra napoletana: non le regole, ma il fatto che fossero violate. A Palermo si riconta come in Florida, ma la domanda è: Fabrizio Ferrandelli ha giocato pulito? Se la risposta è sì, le chiacchiere stanno a zero. Gli elettori non hanno detto sì o no alla “foto di Vasto” o al “governo Monti” (figurarsi) ma solo mostrato, plasticamente, che due quarantenni pieni di talento sono – come in tutto il mondo – più vitali di una figura nobile e degnissima.

Rita Borsellino aveva un seguito imponente sulla carta, ma aveva già corso (e perso) addirittura in un’altra era geologica. E Bersani adesso viene messo nel tritacarne dai suoi stessi compagni di partito che lo accusano di non azzeccare un cavallo vincente. I politici italiani, essenzialmente autoreferenziali, credono che basti l’aritmetica delle sue formule per chiudere le partite. Invece è il contrario: vince Vendola anche se l’establishment è contro, vince Pisapia malgrado sia considerato male dagli oligarchi, Zedda malgrado sia outsider, Fassino e Merola perché si mettono in gioco, vince Doria proprio perché sembra un eroe di Frank Capra.

La breve storia di questi anni ci dice due cose. La prima: chi ha vinto le primarie, violando la “prima legge di D’Alema” ha vinto anche le “secondarie”. La seconda: i diktat delle nomenclature, che un tempo facevano le fortune dei brocchi, oggi sono una garanzia di successo per tutti coloro che le contestano. Solo a Torino (e forse per via dell’assenza del candidato naturale della sinistra) una maggioranza sulla carta si è rivelata tale nella realtà. Ci sono voti “estranei” nelle primarie? Certo. Finché non si fanno le leggi e non si istituzionalizzano gli albi, sono parte del gioco.

Infine la cosa più importante: mentre si manovra per passare dal porcellum all’ultra-porcellum (con due sbarramenti!) le primarie sono l’ultima occasione che ci è rimasta per contare. Scusate se è poco.

Il Fatto Quotidiano, 6 Marzo 2012