Diritti

Storie di profughi<br> a Mantova

Arrivando alla stazione di Mantova (su un autobus “sostitutivo”, stipato in modo vergognoso, perché la linea ferroviaria è inagibile, dottor Moretti) capita d’incrociare gruppi di extracomunitari. E di chiedersi chi sono. Clandestini, direbbe qualche leghista giunto recentemente al governo di una città da sempre di sinistra. Invece no. Arrivano, qui come in tutta Italia, dalla Libia, scappati dalla guerra. Di loro si è a lungo parlato durante la primavera araba, a causa degli sbarchi a Lampedusa. Poi sono svaniti in una nuvola di oblio mediatico. Nel Mantovano sono un’ottantina, in Italia un po’ più di 22 mila. Da maggio dello scorso anno a gennaio 2012 sono arrivati in diversi gruppi. Il più numeroso è alloggiato in un hotel che sta di fronte alla stazione. Il governo stanzia 43 euro al giorno per il soggiorno di ciascuno.

Sono profughi, dunque. Anche se, nel calderone della politica ignorante e dei media spesso non più raffinati, vengono bollati appunto come fuorilegge. E che fanno qui? Aspettano, da mesi, che si dica loro se hanno diritto di avere riconosciuto lo status di rifugiato politico. Decide una commissione territoriale che ha quattro soluzioni a disposizione: dichiarare lo status di profugo (prevede il soggiorno in Italia per 5 anni), la protezione sussidiaria (soggiorno di 3 anni), la protezione umanitaria (1 anno) o il respingimento. Quasi nessuno di loro però ha cittadinanza libica: vivevano lì, ma arrivano da Paesi dell’africa subsahariana. Gli unici ad avere qualche possibilità sono i cittadini del Congo, dove c’è la guerra. A molti di loro però basterebbe avere qualche certezza sul loro destino: anche se vengono trattati come numeri senza vita, hanno famiglie e legittime aspettative sul loro domani.

Leggendo i giornali, sono tutti disperati, affamati, pronti a derubarci. Invece, racconta Sandro Saccani – presidente dell’associazione di volontari “Scuola senza frontiere” che si occupa dell’alfabetizzazione degli immigrati – sono tutte persone che in Libia avevano un lavoro e delle professionalità. Una settimana fa i profughi hanno osato scendere in piazza per chiedere una soluzione. Il corteo non era autorizzato, ma a parte un po’ di tensione e un contuso (lieve) non è successo nulla di grave. La Lega non ha gradito, sui giornali il solito allarme sicurezza.

Possibile che nessuno capisca come dev’essere angosciosa un’attesa così lunga? La Caritas e le altre associazioni che si occupano dell’accoglienza (a Mantova anche il centro San Luigi) organizzano lezioni d’italiano, d’informatica, visite ai monumenti e altre attività, compreso il sostegno psicologico. Ma l’inoperosità genera frustrazione, paura, esasperazione. Si calcola che il 75 per cento di loro saranno respinti. Dovranno tornare a casa o diventeranno davvero – con buona pace del razzismo leghista – clandestini. Formalmente non hanno diritto allo status di rifugiato. Eppure sono scappati dalle bombe, tanti sono morti nelle traversate della vergogna. Forse qualcuno – magari un ministro tecnico che sotto il loden si ritrovi anche un’anima – potrebbe riconoscere che sono esseri umani fuggiti da una guerra. Sul sito di Scuola senza frontiere, un video mostra i ragazzi che tutti i giorni seguono le lezioni d’italiano: sorridono e amano il nostro Paese più di quanto ormai non sappiamo fare noi. Guardandoli, l’ultima parola che viene in mente è pericolo. Forse è perché hanno incontrato qualcuno che – invece di prenderli a calci come cani rabbiosi – ha teso loro una mano.

Il Fatto Quotidiano, 4 marzo 2012