Politica

Comune di Roma, mistero sul buco di bilancio. E i creditori premono

Fermo lo stanziamento di 500 milioni l'anno deciso del governo Berlusconi nel 2008. L'opposizione denuncia: "Ci tengono all'oscuro di tutto". Intanto una decisione del Tar potrebbe provocare un terremoto nelle casse dell'amministrazione. Pochi giorni fa l'incontro tra Alemanno e Monti per correre ai ripari

Il sindaco di Roma Gianni Alemanno

Una denuncia pesante sul buco di bilancio di Roma, arrivata dal gruppo di Sel in Campidoglio – che punta il dito sui conti comunali e sulla gestione della giunta di centrodestra – è arrivata dopo l’incontro tra Gianni AlemannoMario Monti. “Abbiamo un piano di rientro oscuro, nascosto agli stessi consiglieri capitolini – ha spiegato il consigliere Gemma Anzuni – su cui si sono spesi fiumi di inchiostro tra interrogazioni, richieste di Assemblea straordinaria e interrogazioni parlamentari”. Atti rimasti senza una risposta. Con una spada di Damocle appesa al sottile filo del giudizio di costituzionalità sul decreto del 2008 che salvò Roma dal dissesto ereditato anche dalle giunte di centrosinistra, su cui la Consulta si dovrà esprimere a breve.

Per ora di certo c’è solo l’allarme sui bilanci della capitale, appesantiti da un debito pregresso e salvati, almeno per il momento, da una decisione di tre anni fa di Silvio Berlusconi, che, con un decreto legge, ha affidato i debiti alla gestione commissariale. “Quell’accordo prevedeva nel contempo l’erogazione annua di 500 milioni di euro – spiega al fattoquotidiano.it Gemma Anzuni – per almeno dieci anni, a copertura di un buco di bilancio accumulato nel passato che non ci è mai stato ufficialmente comunicato in Consiglio”. Di quei soldi, Roma ha visto solo la prima tranche nel 2009: “Per gli anni successivi – prosegue Anzuni – vi è stato un accordo per valorizzare quindici ex caserme, originariamente concesse in riqualificazione al comune di Roma. Ma il governo non ha mai trasferito la proprietà all’amministrazione di Roma”. E oggi i conti non tornano.

Questo è il dossier che Gianni Alemanno ha discusso con Monti lunedì scorso, in un colloquio privato, dove si è parlato – secondo un comunicato di Palazzo Chigi – della possibile crisi di liquidità di Roma. Una situazione che potrebbe aggravarsi, con due pericoli imminenti. Il primo riguarda i bilanci delle municipalizzate (AtacAma, le principali, e una quota nella società mista Acea, oltre ad una miriade di controllate), vere mine che alla fine potrebbero esplodere all’interno delle casse comunali.

La seconda spada di Damocle riguarda proprio il decreto di commissariamento dei conti del 2008, che all’epoca salvò la giunta capitolina dal crack. Quel provvedimento prevede che tutti i debiti dell’amministrazione comunale precedenti il 28 aprile del 2008 non siano più imputabili alle casse comunali, ma alla struttura commissariale. In sostanza si è creata una cassa apposita che dovrà occuparsi di saldare gli arretrati ai fornitori, con tempi e modi da stabilire. Il Consiglio di Stato lo scorso novembre ha però aperto una possibilità a un gruppo di aziende che vantano ancora oggi 20 milioni di credito, sollevando un dubbio di costituzionalità che ora la Consulta dovrà dirimere. Se quel decreto del 2008 dovesse essere giudicato incostituzionale – come sospettano i giudici amministrativi – sulla giunta Alemanno si riverseranno in un sol colpo i tantissimi milioni di arretrati mai pagati a centinaia di fornitori. E a quel punto per le casse capitoline sarebbe una catastrofe.

“Il vero problema – sottolinea ancora Anzuni – è non aver mai comunicato ufficialmente a quanto ammonta questo debito”. Un passaggio che non è stato mai fatto, assicura il consigliere di Sel, neanche dall’attuale commissario straordinario che ha in mano i debiti passati, Massimo Varazzani. Un manager dai molteplici incarichi, un eclettico amico di Giulio Tremonti, capace sedere ai vertici di Fintecna, di Sogei, dell’Enav e della Stt, la società che gestisce il patrimonio del comune di Parma. “Il solo incarico di commissario straordinario a Roma – aggiunge Emma Anzuni – gli vale 250 mila euro all’anno, soldi messi nel capitolo di bilancio del costo del personale del Campidoglio”.

Quel decreto firmato da Berlusconi nel 2008 gli dà un preciso mandato: effettuare “la ricognizione della situazione economico-finanziaria del Comune e delle società da esso partecipate, con esclusione di quelle quotate nei mercati regolamentati”. Andare a vedere i conti, non solo del bilancio del Campidoglio, ma anche di colossi come Atac e Ama, società poi entrate nello scandalo parentopoli. Numeri ancora oggi non sono stati resi pubblici.