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Calcioscommesse, coinvolti ultras del Bari Puntavano grazie alle dritte dei calciatori

La notizia non è stata smentita dagli inquirenti: alcuni capipopolo biancorossi usufruivano delle indicazioni dei loro beniamini in merito alle partite truccate. Non è la prima volta che le frange più calde del tifo organizzato in Italia vengono coinvolte nelle inchieste sul calcio marcio

La curva del Bari

Gli ultras del Bari sapevano delle partite truccate, e scommettevano. E’ il dato emerso (e finora non smentito dalle fonti investigative) grazie ad alcune intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni dei testimoni, nell’ambito dell’indagine relativa al calcio scommesse e sul quale si sta concentrando il lavoro degli inquirenti. In alcune telefonate tra l’ex capitano biancorosso Antonio Bellavista e il factotum Iacovelli, infatti, vengono fatti i nomi di alcuni capi ultras (almeno quattro), sottolineando come lo spogliatoio dei ‘galletti’ fosse sotto assedio: i tifosi, cioè, avevano capito che nella scorsa stagione (ma non è escluso che anche nel campionato precedente ci fossero state alcune combine) i calciatori stavano vendendo informazioni sulle partite. E invece di protestare contro il tradimento dei colori del cuore, hanno deciso di sfruttare l’occasione. O almeno è quello che sembrerebbe emergere dall’attività d’indagine.

Incriminato, tra gli altri, è il match Cesena – Bari, perso dai biancorossi già retrocessi per 1 a 0: secondo gli investigatori questa gara sarebbe stata controllata direttamente dagli ultras, che dopo aver scommesso a botta sicura avrebbero ringraziato i giocatori con parte dei proventi delle vincite. Il lavoro di carabinieri e magistratura si sta concentrando anche sul coinvolgimento della criminalità organizzata barese nelle scommesse: le puntate sui risultati truccati del Bari, infatti, potrebbero essere un modo per riciclare il denaro frutto del traffico di sostanze stupefacenti.

Non è la prima volta che gli ultras finiscono nel mirino di chi indaga sul marcio nel pallone: alcuni degli Irriducibili della Lazio, tra il 2005 e il 2006, furono arrestati per le minacce al presidente biancoceleste Lotito reo, a loro dire, di non voler vendere la società a Giorgio Chinaglia, ex beniamino pronto ad acquisire la Lazio con i danari della camorra. “Tua moglie ha delle belle gambe, peccato che gliele spezzeremo” e “Vendi o muori” alcuni dei messaggi di minacce rivolti a Lotito, macchiatosi, oltre a non voler vendere la società, della grave colpa di aver chiuso il rubinetto dei sovvenzionamenti agli ultras e di averli ‘esonerati’ dalla gestione di merchandising e marketing.

Accusati di estorsione ai danni della società del Napoli (e poi assolti in appello) anche alcuni ultras partenopei, che furono indagati dopo una pioggia di petardi in occasione della gara Napoli – Frosinone, del 2006 in serie B. ‘Pioggia di fuoco’ utilizzata, secondo l’accusa – che aveva portato all’arresto dei tifosi – come ritorsione nei confronti dell’ex direttore generale Pierpaolo Marino, che aveva stabilito l’interruzione del flusso di biglietti omaggio alle curve : “Ridacci i biglietti o storpiamo te e tuo figlio, perché noi coi biglietti ci viviamo” è il contenuto di una telefonata ricevuta dall’attuale responsabile dell’area tecnica dell’Atalanta.

Motivazioni simili hanno portato, la scorsa estate, alla condanna di 7 ultras del Milan per tentata estorsione nei confronti del club. Nel 2006, durante le partite casalinghe contro Lille e Torino, gli ultras rossoneri si erano resi protagonisti di un lancio di torce (fumogeni) per intimidire il club e indurlo a concedere biglietti gratis o a minor prezzo ai tifosi organizzati. Minacce, fatte anche attraverso telefonate, che avevano spinto l’amministratore delegato dei rossoneri, Adriano Galliani, a sporgere denuncia e a far costituire la società come parte civile nel processo. Come per la Lazio e per il Napoli, anche in questo caso, nel corso del dibattimento, è emerso che a causare la rabbia degli ultras è un irrigidimento da parte dei club nei loro confronti: un leader storico della tifoseria rossonera, infatti, ha raccontato come nel 2000 più volte aveva incontrato il presidente Berlusconi, che lo aveva persino ricevuto nella sua residenza di Arcore.

Di tutt’altro stampo l’iniziativa dei tifosi del Taranto, che la scorsa settimana, attraverso una colletta arrivata alla cifra di undicimila euro, avevano deciso di sponsorizzare il ritiro e la trasferta più impegnativa della loro squadra, quella di Terni, contro la capolista Ternana. Colletta apprezzata anche dalla società, che aveva firmato con i tifosi promotori anche una scrittura privata per suggellare l’accordo e che avrebbe portato la squadra ad indossare la tradizionale maglia rossoblu con su impresso lo slogan “RespiriAMO Taranto”, scelto dai supporters su internet attraverso un sondaggio. Un messaggio chiaramente riferito all’emergenza ambientale provocata dallo stabilimento Ilva del capoluogo ionico. Tutto ok anche per la Lega, che poi però ha revocato il suo placet: lo slogan, a loro dire, poteva essere considerato come pubblicità a fini politici, poiché era già stato utilizzato in alcune manifestazioni ambientaliste.