Mondo

Primavera araba senza facebook

Il 25 gennaio scorso migliaia di persone cominciavano a invadere le strade del Cairo decisi alla protesta fino in fondo contro un regime ottuso, vecchio, violento e oppressivo. Perché le rivoluzioni non si fanno su Facebook, contrariamente a tante scemenze dette sui giornali di tutto il mondo. Si fanno per strada. Si fanno con il corpo. Una rivoluzione testa i limiti fisici di un regime: perché vincere alla fine non vuol dire altro che prendere il corpo del dittatore. E difatti, quando si fa la rivoluzione, si parla di martiri e di eroi, perché sono loro che hanno il coraggio di rischiare il loro corpo, e a volte di perderlo.

Io traducevo per Micromega il blog del mio amico Aalam Wassef, artista, web designer, genio delle nuove tecnologie, cittadino globale multilingue, grande cantante (ascoltate la sua voce calda nel video di YouTube dove spiega quel che è successo un anno fa). Aalam sapeva bene che la rivoluzione non era iniziata quel giorno e che non sarebbe finita con la caduta di Moubarak.

Aalam Wassef è un simbolo e un sintomo di questa rivoluzione, ancora oggi in corso, oppressa dai militari, soffocata tra le bugie locali e le ipocrisie ed eccessive cautele internazionali. Lui, come migliaia di altri cairoti, è su Facebook perché è già un nuovo cittadino. Chi va su Facebook? Chi non ha paura di dichiarare chi è, chi non è oppresso dal papà, dalla mamma, dal datore di lavoro che potrebbe usare le informazioni online contro di lui, chi parla le lingue (perché un Facebook solo in arabo, o in italiano, o in urdu, sarebbe molto limitato!).

Facebook, Internet e i network sociali che hanno permesso a me e Aalam di lavorare per anni insieme sentendoci tre volte al giorno, mentre io ero sotto la tempesta di neve a New York e lui mi mostrava con Skype le piramidi che si vedono dal giardino della casa di sua madre, hanno bisogno di gente già nuova per esistere.

Internet non cambia il mondo: Internet è fatto e usato da chi, nel mondo, è già cambiato