Politica

Bersamasutra

Ai politici italiani servirebbe una memory card che li aiutasse a ricordare. In fondo non è passato un secolo dal 30 settembre 2011, quando il comitato referendario anti-Porcellum annunciò di aver raccolto, quasi tutte nell’ultimo mese utile, 1.210.466 firme. Quel giorno si schierarono col referendum, oltre alle forze che l’avevano promosso (Idv e comitati di Parisi e Segni) e sostenuto (Sel e Fli), anche i partiti che l’avevano malsopportato (Pd) e persino alcuni di quelli che l’avevano osteggiato, avendo votato la porcata Calderoli (l’Udc e pezzi di Lega e Pdl).

“Sono rimasto impressionato dal numero di firme raccolte – disse Bobo Maroni, ancora ministro dell’Interno – in così poco tempo. Quindi è un segnale forte che va ascoltato e credo che si debba procedere al referendum”. Casini si affrettò ad associarsi: “Vi sorprenderò, ma trovo che Maroni abbia perfettamente ragione. Fare ora una legge elettorale seria e condivisa è come scalare l’Everest a piedi nudi. Molto meglio dare la parola ai cittadini, che è sempre un grande fattore di democrazia”. Alfano, neosegretario del Pdl (almeno pro forma), chiese di “restituire ai cittadini il diritto di indicare il proprio parlamentare”. E financo il bossiano Calderoli ammise che la sua legge andava cambiata: “La riforma della legge elettorale può essere approvata entro la primavera del 2012”.

Intanto Bersani chiedeva ai referendari di “non mettere il cappello sul referendum” e addirittura invocava da loro un atto di pubblica gratitudine al Pd: “Mi aspetterei che ci ringraziassero perché abbiamo raccolto centinaia di migliaia di firme: noi non abbiamo messo il cappello sul referendum, ma abbiamo messo i banchetti”. Proprio lui che, prima che gli altri raccogliessero le firme, aveva sentenziato: “Meglio la via parlamentare”. Parisi domandò “perché Vizzini del Pdl ha firmato e D’Alema e Bersani no?”. Su facebook nacque un gruppo dal titolo “Ma Bersani ha firmato?”. Ma il segretario replicò furibondo: “Non vedo ragione di polemiche”, assicurando che la sua firma c’era eccome. E qualcuno ci credette pure, visto che il Pd si era mostrato maestro nel salto sul carro dei vincitori già con i referendum di primavera contro l’acqua privata, il nucleare e l’impunità: prima tiepido nella raccolta firme (Bersani, lungimirante: “Noi non abbiamo una strategia referendaria perché in 15 anni, si sono persi 24 referendum e poi manca l’aspetto propositivo”), poi entusiasta quando tirava aria di quorum, per potersi appropriare della vittoria il giorno dopo.

Dal 1 ° ottobre sono trascorsi cento giorni e oggi gli smemorati dicono diametralmente l’opposto di allora. Del resto, se avessero tenuto ferme le posizioni, questa Consulta ormai permeabilissima agli umori della politica non avrebbe osato tanto. Ora Calderoli vuol conservare il Porcellum che – parole di Bossi – “va benissimo”. Alfano ha smarrito la favella, anche perché parla B., il principale: “La Calderoli è una buona legge”. Maroni, dopo la figura barbina su Cosentino, balbetta “me l’aspettavo”. Casini elogia la “sentenza ineccepibile” della Corte. E Bersani? “Non possiamo gioire per la decisione della Consulta, ma la rispettiamo. Il Pd è impegnatissimo a cambiare il Porcellum”.

Talmente impegnatissimo da proporre una dozzina di leggi elettorali diverse, che si aggiungono al kamasutra di posizioni degli altri partiti: la miglior garanzia che nel 2013 – o quando sarà – voteremo per la terza volta col Porcellum. Cioè, di fatto, non voteremo. Del resto, se il vertice del Pd volesse davvero cambiare la legge elettorale, l’avrebbe fatto nel 2006-2008, quando si chiamava ancora Ds + Margherita e l’Unione aveva la maggioranza in Parlamento. Invece se ne guardò bene. Ultimo tocco di eleganza: lo staff di Bersani, un minuto dopo la sentenza della Consulta, ha fatto finalmente sapere al nostro giornale che il segretario il referendum non l’aveva firmato. Bravo, complimenti, ottima scelta di tempi: da vero leader.

Il Fatto Quotidiano, 14 Gennaio 2012