Cronaca

Associazione a delinquere e frode fiscale <br/>14 persone arrestate a Torino

Avevano escogitato un meccanismo per gonfiare il prezzo di immobili, ricavare un “bottino” ed evadere milioni di euro di tasse. Era “un vasto e sofisticato fenomeno criminoso”, stando al procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli. Quattordici persone sono state arrestate questa mattina in un’operazione della Guardia di Finanza nell’ambito di un’inchiesta del pm Roberto Furlan. L’indagine riguarda 19 persone accusate di associazione a delinquere, reati fiscali e fallimentari: tra di loro imprenditori noti in città e alcuni commercialisti, ma anche il direttore dell’agenzia delle entrate, corrotto dal proprietario di alberghi e ristoranti. I finanzieri hanno anche sequestrato un controvalore di 10 milioni di euro “come garanzia per cautelare la richiesta dello Stato”, ha precisato il generale Giuseppe Gerli, capo del comando provinciale delle Fiamme gialle.

Ai vertici dell’organizzazione si trovano Claudio Gabriele Belforte e Guido Callegaro, già coinvolto in passato in alcune vicende giudiziarie e ai vertici della “Raffaello e Michelangelo spa”, società che, stando al sito è “una delle maggiori realtà a livello europeo operanti nel settore” della valorizzazione degli immobili. I due operavano insieme dalla fine del 2004 anche se, come ha sottolineato il procuratore capo Caselli, “il modus operandi si è protratto dal 2002 e grazie a questo hanno conseguito grossi guadagni”.

Tramite società di comodo (la Guardia di Finanza ne ha trovate 54 in Piemonte, Liguria, Lombardia, Lazio e Campania) i due acquistavano palazzi di grande pregio, come la prima sede della Fiat a Torino, una villa in stile liberty di inizio secolo in una zona collinare. Poi, nello stesso giorno, l’immobile veniva rivenduto a un’altra società del sistema per un prezzo maggiorato e infine ceduto a una terza, che aveva acceso un mutuo o un leasing per la somma attestata dalle perizie gonfiate. In questa maniera gli organizzatori ottenevano dalle banche molti più soldi di quelli necessari e si intascavano il “bottino” (come lo definivano). Ai prestanome, titolari fittizi delle società di comodo, le cosiddette “cartiere”, rimanevano solo debiti tributari maturati con le compravendite. Alcuni di loro, stanchi di ricevere notifiche delle autorità giudiziarie, hanno permesso agli investigatori di fare luce sul sistema. Poi c’è stato il lavoro del nucleo di polizia tributaria guidato dal tenente colonnello Mirko Piersimoni che hanno intercettato conversazioni illuminanti: “Ci sono le perizie di comodo. Allora, uno dice: questo palazzo vale 20 milioni…glielo dà il perito. Ne vale effettivamente di mercato 15 e quindi ce ne hanno cinque che sono una sopravvalutazione, con la quale ottengono il prestito o il mutuo. E se dovessero a quel punto restituirlo, vendendo l’immobile non ce la farebbero mai…”. Così spiegava Paolo Zacché, fiduciario di Callegaro, all’ex segretaria di Belforte che si sarebbe prestata a fare da prestanome e a gestire gli affari. Entrambi sono indagati. Con loro ci sono anche tre commercialisti, tra cui Andrea Perego, finito già nei guai per il crack del mobilificio Aiazzone.

Con questo sistema sono stati fatturati in maniera fittizia 100 milioni di euro, occultati redditi per 27 milioni di euro ed è stata evasa l’Iva per 15 milioni. In un caso, come quello del palazzo che ora ospita il liceo francese “Jean Giono” di Torino, l’immobile era stato comprato senza pagare l’Iva “perché appartenente a un ordine ecclesiastico”, ha spiegato Caselli. “Per ora le perizie risultano gonfiate, forse i periti si sono spinti oltre nelle valutazioni. Si tratta di immobili di pregio che potrebbero avere un plusvalore nel caso in cui fosse cambiata la destinazione d’uso”, ha precisato il colonnello Danilo Petrucelli.

Le indagini hanno permesso di aprire un altro filone e far arrestare il direttore della direzione provinciale delle entrate di Torino 1, Ernesto Giacomo Maggiore, 59 anni, per un caso isolato di corruzione. Le Fiamme gialle lo hanno ripreso mentre riceveva tre buste da un imprenditore del settore alberghiero, Giuseppe Secondo Boero, anche lui finito in carcere.