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“Mi sono inventato tutto, ho fallito” <br/> La confessione del luminare imbroglione

Diederik Stapel, specialista in psicologia sociale, ha ammesso di aver travisato i dati di decine di studi pubblicati su rivista prestigiose, come Science, che lo ha reso molto celebre nel suo campo

Diederik Stapel

C’è chi farebbe di tutto pur di avere un piccolo pezzo di celebrità. Anche andare contro gli stessi principi su cui si basa la propria vocazione. La scienza in questo non fa eccezione. Ed ecco che ci ritroviamo di fronte l’ennesimo caso clamoroso di frode scientifica. Diederik Stapel, specialista in psicologia sociale e docente all’Università di Tilburg (Paesi Bassi), ha ammesso di aver travisato i dati di decine di studi pubblicati su rivista prestigiose, come Science, che lo ha reso molto celebre nel suo campo.

Sospeso ormai da settembre dalle sue funzioni di preside della Facoltà di Scienze Sociali e Comportamentali, Stapel ha ammesso di aver “fallito come scienziato” e di provare vergogna per quello che ha fatto. In effetti, la sua colpa, non solo ha distrutto la sua reputazione, mettendo in pericolo anche quella dell’università, ma di fatto è stato un duro colpo anche per le riviste che, pubblicando i suoi paper, ne hanno garantito la veridicità.

La frode, scoperta dai suoi colleghi e riconosciuta in una relazione dell’università olandese, può essere riassunta in una frase: “ha usato dati falsi nelle sue ricerche”. A quante ricerche pubblicate si riferiscano, questo non lo si è ancora capito. L’unica cosa che sembra essere appurata è che “ci sono circa 30 paper pubblicati su riviste che sappiamo essere falsi, e ce ne sarebbero ancora di più”, ha ammesso su Nature Pim Levelt, presidente del comitato incaricato dell’indagine.

Lo scandalo ha portato la rivista Science a pubblicare un editoriale in cui rettifica i risultati pubblicati da Stapel e in cui mette in guardia i suoi lettori dai lavori dello scienziato olandese. Uno dei suoi studi, il più famoso, è stato intitolato “Affrontare il caos: come contesti disordinati promuovono gli stereotipi e la discriminazione“. I risultati sono stati diffusi di recente, precisamente nell’aprile scorso in un articolo pubblicato da Science.

E mentre lo scandalo fa il giro del mondo, Stapel fa outing e rivela tutto in una dichiarazione raccolta dal quotidiano olandese Brabants Dagblad. “Ho fallito come scienziato, come ricercatore. Ho modificato – confessa – i dati degli studi e li ho falsificati. Non solo una volta ma più volte e non in modo puntuale, ma per un lungo periodo”, dice lo psicologo. “Mi vergogno e sono profondamente dispiaciuto”, aggiunge.

La relazione, che è attualmente disponibile solo in lingua olandese, descrive il modus operandi di Stapel. Sembrerebbe che lo psicologo olandese abbia completamente inventato i dati, fingendo che questi fossero il risultato di esperimenti e ricerche. In realtà, i suoi studi non hanno seguito alcun piano. I dati analizzati erano un falso. Il comitato universitario ha stabilito che Stapel è il solo responsabile di questa frode e di conseguenza l’ateneo olandese ha ritirato il suo titolo, non escludendo anche la possibilità di agire legalmente contro il suo ex preside di Falcoltà.

“Non ero in grado di resistere alla pressione di sommare punti, di pubblicare, per essere sempre il migliore”, ha spiegato Stapel. “Volevo troppo e troppo in fretta. E in un sistema in cui c’è poco controllo, in cui la gente normalmente lavora da sola, ho scelto la strada sbagliata”. Ma Stapel non è l’unico scienziato ad aver macchiato in questo modo la carriera. Fece scalpore anche il caso di Andrew Wakefield e dei suoi studi che collegavano il vaccino trivalente con l’autismo. Conclusione, questa, subito confutata ma che ha seriamente minato la reputazione dei vaccini, su cui ancora oggi si nutrono dubbi ingiustificati. In questo caso la frode è stata orchestrata, almeno da quello che sembra, per denaro. Ma poco importa i motivi che hanno spinto questi studiosi a barare, il risultato è sempre quello di aver tradito la scienza e con essa la fiducia dei suoi lettori.

di Valentina Arcovio