Economia & Lobby

Riprendiamoci la ricchezza

La frase che appare nel titolo non è lo slogan delle decine di migliaia di persone che stanno manifestando la loro protesta, da Zuccotti Square di New York alle piazze di Roma. La frase è la dichiarazione di una nuova lotta di classe.

Questa volta è cominciata dall’alto. È cominciata dalle banche, dai Fondi, dalle vaste operazioni finanziarie che attraversano e cambiano il mondo per mezzo di un sistematico impoverimento di tutti. È cominciata con coloro che hanno deciso: mai più condivisione anche parziale, anche modesta dei privilegi. D’ora in poi chi possiede tiene per sè, allarga la proprietà e impone il tributo. Bisogna che sia chiaro il momento di inizio di questa nuova lotta di classe. È avvenuta non appena l’immensa massa dei lavoratori del mondo ha creduto, dopo la fine della guerra fredda, che nuove tecnologie e una politica nuova, agile, inventiva, avrebbero aperto due strade: quella di più partecipazione per i figli del mondo agiato e quella di spostamento verso il benessere nel mondo che adesso è degli esclusi.

Agli occhi di qualcuno il rischio deve essere apparso serio. Il mondo agiato ha moltiplicato in modo inimmaginabile la sua ricchezza e masse disarmate, informate e affamate chiedevano di partecipare.

Agli occhi di qualcuno c’è un legame pericoloso fra queste masse in arrivo e i lavoratori del posto (nei Paesi ricchi) che sono (e lo sanno) i veri autori di una espansione economica senza precedenti nella storia del mondo. Dopo un po’ di guerriglia organizzata (in Italia, la politica della Lega Nord) per mettere gli uni contro gli altri, nella paura insensata del furto di lavoro, questi lavoratori di un Paese e dell’altro potrebbero insieme esigere di avere la loro parte di benessere, a cominciare dalle scuole per i bambini, dal futuro dei giovani e dalle cure per malati e anziani.

Agli occhi di qualcuno questo rischio era troppo grande e occorrevano interventi seri. Primo, accumulare quanta più ricchezza possibile in alto, al di sopra dei governi e fuori dal fastidioso filo spinato delle tasse. Secondo, occorreva spingere gli aspiranti di benessere, non proprietari di ricchezza, molto più in basso, in modo che sapessero quanto effimera era stata la loro impressione che “moderno” volesse dire “giusto” e che “merito” fosse garanzia di affermazione e di vita migliore.

Umiliare e screditare il lavoro
e ridurre sempre di più gli accessi al lavoro stabile sono stati un buon espediente per spaventare e dividere. Ma non sufficiente. Non si riusciva a cancellare la memoria che appena pochi decenni prima il buon lavoro bene organizzato aveva dato frutti grandiosi che avevano letteralmente cambiato le condizioni e le speranze di vita in aree molto grandi del mondo.

Agli occhi di qualcuno c’erano ancora troppi legami fra il mondo della politica che, in cerca di consensi, ha tutto l’interesse a portare speranza e a distribuire promesse, e la presenza attiva dei sindacati che, insieme ai lavoratori, tenevano fastidiosamente il conto del fatto e del non fatto.

Agli occhi di qualcuno, se una impresa va bene c’è troppo da dividere con chi ha lavorato, persino se il lavoro è eccellente; se un’impresa attraversa un periodo difficile, non è giusto doversi assumere il rischio degli altri, cioè dei lavoratori. Meglio che se ne vadano subito persino se altamente specializzati e dunque indispensabili nel tempo della ripresa.

Il senso di questa storia è che la ricchezza è la parte più importante di ciò che chiamiamo economia. Dunque, se siamo buoni economisti, buoni imprenditori, buoni politici, buoni governanti che vogliono stare dalla parte del valore vero, dobbiamo riprenderci la ricchezza, troppo condivisa a causa dei mille fardelli “sociali” (ovvero il modo in cui sei obbligato a pagare per altri) e che ti sono stati imposti in tempi che possiamo definire “superati” (“è’ finita la festa”).

E scopri che esiste un modo molto più equo (loro dicono così) di ripianare i guasti della crisi. Tu, che lavori, paghi per loro, versi ciò che manca, fai fronte al debito. In apparenza c’è un che di assurdo. Devi farlo mentre tu non lavori e mentre tuo figlio, anche se super preparato dalle migliori (e non gratuite) università del mondo, è a spasso, o lavora, quando capita, per 4 euro lordi all’ora .

Dimenticavamo il dettaglio. Intanto è arrivata, feroce, la crisi. Un mondo tutto costruito da operazioni cieche, disoneste e inventate della finanza per conto delle banche per conto delle imprese è crollato (in minima parte, per ora) portando danni gravissimi. Soluzione? Paghino tutti ma non la ricchezza. Tanto che non ci sono pudori nel continuare a distribuire bonus giganteschi nelle banche d’affari del mondo.

Il resto si chiama austerità. Se vedete proteste di popolo per le strade del mondo sapete che questa è la spiegazione. Se vi giungono notizie di incidenti di incappucciati, aspettate l’identificazione dei malfattori prima di dire “però la violenza no”. È la frase giusta.

Ma stiamo parlando della violenza di chi?

Continua…

Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2011