Politica

Governo battuto alla Camera. Cicchitto e La Russa: “Berlusconi chieda la fiducia”

L'esecutivo sotto per un voto a Montecitorio. Dito puntato verso gli assenti: dai Responsabili a Scajola e lo stesso Tremonti. L'opposizione chiede le dimissioni del presidente del Consiglio. Fini: "Chiare implicazioni politiche". Il Cavaliere convoca un vertice a Palazzo Grazioli

L’incidente parlamentare è arrivato. Silvio Berlusconi ha dovuto prendere atto di non avere più in pugno non solo la maggioranza ma neanche il suo partito. I mille pezzi del Pdl hanno preso la loro strada e se le polemiche si sono concentrate sull’assenza al momento del voto di Giulio Tremonti, non è sfuggita la latitanza del Responsabile Domenico Scilipoti e di Claudio Scajola, con cui ieri il Cavaliere ha tentato di ricucire. Inutilmente. La bocciatura dell’articolo uno dell’assestamento di Bilancio non solo era inatteso ma non era “mai accaduto prima” nella storia della Repubblica, ha sottolineato Gianfranco Fini nei panni di Presidente della Camera.

Il premier è rimasto qualche secondo a fissare il tabellone elettronico nell’aula di Montecitorio. Berlusconi è una statua di sale. Appare allibito, incredulo, pietrificato. Sconfitta da esiti imprevedibili dal punto di visto tecnico, devastante dal punto di politico. Le opposizioni invocano a gran voce le dimissioni del premier, Pierferdinando Casini chiede anche quelle del ministro dell’economia, mentre dalla maggioranza Umberto Bossi garantisce che il governo non cadrà, Fabrizio Cicchitto annuncia che il ddl intercettazioni sarà ritirato e poi, insieme a Ignazio La Russa, invita Berlusconi a presentarsi in aula a verificare la maggioranza con la fiducia.

In risposta il Cavaliere ha convocato un vertice serale a Palazzo Grazioli. E ci sono tutti, persino i leghisti e responsabili. Tutti tranne Tremonti. Presenti i coordinatori del Pdl Denis Verdini e Sandro Bondi, il capogruppo e il vicecapogruppo alla Camera Fabrizio Cicchitto e Massimo Corsaro, il segretario politico Angelino Alfano. Il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli, il capogruppo al Senato di coesione nazionale Pasquale Viespoli. Per il Carroccio il ministro della SemplificazioneRoberto Calderoli e il capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni. Ed è atteso anche il capogruppo di Popolo e territorio Silvano Moffa. Ma la resa dei conti non può essere messa sul tavolo perché c’è il Quirinale che assiste preoccupato. Servono provvedimenti economici seri e immediati. Così il presidente del Consiglio starebbe studiando una exit strategy sul rendiconto dello Stato mettendo sul piatto anche l’ipotesi di un nuovo provvedimento da presentare alla Camera e sul quale chiede la fiducia, previa intesa con il capo dello Stato. Presumibilmente giovedì. Ma è evidente che la maggioranza non esiste più. Claudio Scajola in serata ha incontrato l’altro frondista Beppe Pisanu e lo ha persino fatto sapere alle agenzie.

Insomma, l’affondo sembra iniziato. E poi ci sono quelle 14 assenze da valutare. Spicca quella di Tremonti. Il ministro dell’Economia era alla Camera, ma non è arrivato in tempo per votare. “Nessuna ragione politica” dietro all’assenza, specifica in serata una nota del Tesoro. Berlusconi era furibondo. Al termine del voto ha avviato una girandola di colloqui. Il primo proprio con il titolare di via XX Settembre. E poi Bonaiuti, Cicchitto, Romano, Moffa, Lupi, Verdini, Fitto e Brambilla. Ma la bocciatura è ormai un dato certo. Sarà pure “un incidente”, come tenta di minimizzare anche Verdini in serata. Ma è proprio quell’incidente che ormai da settimane, i frondisti, aspettavano di generare. Berlusconi è stato sconfitto. Alla Camera.

La bocciatura di oggi sul bilancio rappresenta un evento pressoché inedito e tocca corde sensibili perché incide sull’architrave della politica economica del governo. Di qui, ha gioco facile l’opposizione a chiedere le dimissioni di Berlusconi. “Si convinca ad andare al Quirinale”, dice Pier Luigi Bersani. “Le dimissioni di Berlusconi e Tremonti ora sono inevitabili”, fa eco Pier Ferdinando Casini. E Gianfranco Fini: “Fatto senza precedenti”. E mentre Di Pietro si appella al Capo dello Stato, i futuristi attaccano frontalmente: “Non ci sono più alibi, il governo deve andare a casa”. Ma il premier è tentato di percorrere la via d’uscita offertagli da Scajola: il malessere diffuso non può più essere ignorato, serve un atto di discontinuità e un segnale potrebbe essere o tentare un Berlusconi-bis o un esecutivo guidato da un altro esponente del centrodestra. Uno su tutti: Gianni Letta. Rimane il solito problema: i processi. La riforma della giustizia è crollata insieme al ddl intercettazioni, il premier tenterà di resistere.

(articolo pubblicato l’11 ottobre)