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Il libro nero dell’alta velocità – Capitolo 7 <br>La tangentopoli dello stato post keynesiano

Il settimo e ultimo capitolo di “Il libro nero dell’alta velocità” inquadra la ventennale vicenda della Tav nell’evoluzione storica della corruzione in Italia. Scrive Ivan Cicconi. “Il sistema di Tangentopoli poggiava su due pilastri nettamente distinti: il sistema delle imprese e il sistema dei partiti, i quali, con una transazione occulta e giustapposta ai rapporti fra Stato e mercato, orientavano la gestione degli investimenti per lavori e servizi pubblici”. Adesso, a quasi vent’anni dall’inchiesta Mani pulite, il fenomeno della corruzione ha assunto un aspetto “liquido”. I partiti sono più leggeri, la pubblica amministrazione ha imparato a generare al suo interno società di diritto privato alle quali non si applica la corruzione, i politici in prima persona non vengono più sorpresi a incassare direttamente tangenti, anche se la Corte dei Conti registra da anni un incremento costante dei reati contro la pubblica amministrazione.

La finta privatizzazione, inventata nel 1991 con la Tav, è diventata il modello di riferimento per organizzare una sistematica spoliazione delle casse dello Stato senza pagare dazio. Scrive Cicconi: “Le riforme per la liberalizzazione dei servizi pubblici si sono tradotte invece in un puro e semplice processo di trasformazione delle aziende di diritto pubblico in società di diritto privato, nelle quali rimane pubblica la totale proprietà, o comunque il controllo pubblico, ma alle quali la gestione dei servizi continua ad essere affidata senza alcuna gara. Ad oggi, le riforme dei servizi pubblici hanno semplicemente prodotto: privatizzazione senza liberalizzazione”.

Ed ecco la sintesi del sistema Tav, diventato diffuso e perenne, costruita nel libro di Cicconi: “Il committente pubblico affida in “concessione” la progettazione, costruzione e gestione dell’opera pubblica ad una società di diritto privato (SpA), ma con capitale tutto pubblico (TAV SpA appunto, ma pure Stretto di Messina SpA o Quadrilatero SpA, per restare nell’ambito delle grandi opere). Ma è proprio a carico di questo concessionario di diritto privato, il cui capitale è tutto pubblico, che rimane il rischio della “gestione” e dunque del cosiddetto project-financing (debiti a babbo morto) adottato per la realizzazione dell’opera. La SpA pubblica serve solo per millantare il finanziamento privato (prestiti o prodotti finanziari garantiti dai soci pubblici della SpA) e per garantire al contraente generale, che è il soggetto privato vero e proprio, il pagamento per intero e subito del costo della progettazione e della costruzione, mentre mantiene per sé (e cioè al pubblico) il rischio della gestione (ovvero i debiti futuri)”.

Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato post keynesiano

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