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Bossi salta anche Treviso, roccaforte inquieta <br/>Gentilini: “Basta con Berlusconi e le puttane”

Il Senatur annulla il comizio nella terra monocolore leghista. Motivo ufficiale l'operazione al braccio, ma pesa il malcontento della base. E l'ex sindaco, idolo locale invoca la rottura definitiva con il Cavaliere

“No, stasera niente Umberto Bossi… dopo l’intervento al braccio ha deciso di annullare tutti gli impegni. Avremo però il ministro Calderoli e domani, forse, il ministro Maroni… è un bel colpo lo stesso, no?” .

Sarà. Eppure a Treviso – dove la Lega Nord comanda in Comune, in Provincia, in Regione – il forfait del “Senatùr” alla festa provinciale del partito che si chiude domani, al Prato della Fiera (o, come dicono i “padani”, al Prà dea Fiera, un tempo roccaforte comunista della città), si sente, eccome. È un fatto che stride e che preoccupa anche i più ottimisti e fedeli tra i militanti. Non bastano le saporite grigliate padane, i sostanziosi risotti con i funghi e la salsiccia e le bellezze in fiore viste sfilare in passerella lo scorso giovedì a lenire il vuoto.

“Bossi non viene perché, dopo l’intervento chirurgico al braccio, ha deciso di annullare tutti gli appuntamenti che aveva precedentemente preso”, spiega il segretario organizzativo provinciale della festa, Roberto Loschi, che sceglie con cura le parole da usare per tentare di sgombrare efficacemente il campo da sospetti e illazioni. Secondo fonti ufficiali, Bossi, operato a fine agosto in una clinica svizzera, avrebbe deciso di disdire l’impegno anche a Vigevano, a Cantù, in provincia di Como e a Torino.

Non si tratta di essere maligni se si rammenta con puntualità che, specialmente dall’estate scorsa, il Veneto pare non essere più molto “innamorato” del “suo” Bossi. Non era mai successo prima che il Capo lasciasse in fretta in furia, di notte, l’albergo di Calalzo, nelle montagne del Cadore, dopo le accese proteste di diversi amministratori leghisti locali e dopo che la “base”, allarmata per il clima divenuto ormai “rovente”, aveva cancellato il suo comizio. “E’ scappato come un ladro”, aveva commentato il giorno dopo il suo amico Gino Mondin, proprietario del Ferrovia – l’albergo dove ogni anno, ad agosto, Bossi va per festeggiare il compleanno di Giulio Tremonti – , rimasto letteralmente di stucco per la frettolosa dipartita dell’illustre ospite.

Non era nemmeno mai successo prima che la Lega Nord organizzasse un comizio con tanto di selezione “alla porta” (come al Billionaire…): è invece accaduto a Schio, ancora quest’estate, ancora nel timore di essere travolti da fischi e polemiche.

Sembrano proprio appartenere a un’altra era le sue festose “arringhe” venete di dieci, quindici anni fa. Allora, rustico Masaniello del nord era venerato dagli uomini (e dalle donne) del Carroccio che lo portavano in trionfo tra piazze, zone industriali, tendoni allestiti alla bell’e meglio tra capannoni e campi coltivate a soia. Allora il pubblico si spellava le mani a forza di applaudirlo e perdeva la voce a causa dei toni decisamente robusti con cui rispondeva alle sue promesse.

“Certo, rispetto alle precedenti edizioni della festa, questa (la settima, ndr) è contraddistinta da un malumore diffuso tra i militanti e i simpatizzanti. L’oggetto, però, non è Bossi, non è la Lega, ma sono le incertezze economiche, sono i loro portafogli che diventano sempre più vuoti”. Loschi, il segretario organizzativo, cerca di gettare acqua sul fuoco: ma le fiamme, ormai, sono davvero troppo alte per essere spente con così poco. “ La gente non è delusa ma si aspetta dei cambiamenti forti. Nell’attesa di questi cambiamenti, è molto impaziente. Vuole vedere i risultati. D’altronde è una caratteristica di noi veneti: siamo il popolo del fare, non delle parole”.

E quando gli si obietta che la Lega, a partire da Bossi, ha invece preferito parlare anziché fare, fa capire che la Lega fa quel che può all’interno del governo e che il potere dei suoi rappresentanti, è limitato.

Ma non tutti i militanti la pensano tutti come lui. “Non riusciamo a capire come si stanno muovendo i nostri vertici”, afferma preoccupato Moreno Vanzin, uno degli addetti alla cucina. “Dopo questa manovra sarà difficile andare avanti, soprattutto qui al Nord. È per questo che la base è spaesata e in difficoltà”. “Bossi? Dovrebbe farsi da parte – è l’amareggiato commento di Attilio Sultato – è il capo e lo sarà sempre, ma adesso ci vogliono idee nuove, giovani, come Tosi”.

Leghisti che, lo si è visto bene mercoledì scorso, sembrano non credere più molto alle promesse dei big, ne spuntano un po’ ovunque in terra trevigiana. I vertici sono sentiti ormai come degli alieni in un territorio e da quella base che stava al centro del discorso politico della Lega. C’è bisogno di chiarezza, di concretezza: per questo lo slogan urlato a gran voce dai militanti all’indirizzo dell’ottantaduenne pro-sindaco sceriffo del capoluogo, Giancarlo Gentilini (“Ricandidati”) è un segnale chiarissimo che chi sta in alto non dovrebbe più sottovalutare. E “Genty”, lui sì, ancora una volta non li delude: “Questo matrimonio politico doveva essere un divorzio immediato – tuona – sono tre anni persi a fare da zerbini a Berlusconi e andare dietro alle puttane. I leghisti non ne possono più, è tempo che qualcosa cambi, o il nostro movimento è pronto a sfaldarsi”. Quanto ai due leader maximi, “Bossi e Maroni,dovrebbero cospargersi il capo di cenere”.

di Monica Zornetta