Politica

Confronto politico sì, insulti no

In Italia sta finalmente avanzando una discussione sull’importanza del linguaggio nell’analisi e nell’interpretazione dei fenomeni politici, pubblici, di costume e di socializzazione e, più in generale, nell’utilizzo strumentale del linguaggio per organizzare i pensieri e la realtà collettiva.

La discussione, il confronto tra idee, opinioni, pareri, ha infatti raggiunto un livello di polarizzazione, di semplificazione, di banalizzazione inaccettabile. Per fortuna gli anticorpi sani della nostra società iniziano a farsi sentire, a costo di beccarsi qualche insulto per la sola colpa di essersi esposti per primi.

Era quello che in fondo voleva Berlusconi, e ci è riuscito. Se la pensi diversamente da lui, o dalle sue posizioni, o dai componenti del Governo, sei genericamente ‘antiberlusconiano’, senza che esista lo spazio, reale o figurato, per un dialogo, un confronto, un arricchimento.

Ma attenzione, la malattia ha colpito anche gli elettori attualmente posizionati a sinistra: non è sano, allo stesso modo, che qualsiasi cosa dica Berlusconi o sia proferita dal Governo sia falsa, sbagliata, inaccettabile e che lo sia ‘a prescindere’. Gli argomenti per contestare le tesi politiche vanno spesso a colpire le persone, il mittente della comunicazione, e non gli argomenti, dunque il messaggio.

Minacce di morte, di malanni fisici di qualunque sorta, auspici nefasti sono assai più frequenti rispetto a idee, controproposte, temi, affronti sui programmi e a colpi di ironia.

Anche assumendo che il Governo abbia sbagliato tutto, bisognerebbe dimostrarlo: offendere la controparte riuscirà a far passare gli inetti dalla parte della ragione.

Questa divaricazione tra posizioni, più simile al tifo da stadio (italiano) che alla dialettica politica (internazionale) ha contagiato molti settori: dalla comunicazione politica al giornalismo, dal confronto tra amici alla satira. Quest’ultima, arte nobilissima, spesso autoassolve se stessa sdoganando l’attacco al difetto fisico, ai gusti sessuali e alla propria vita privata invece di entrare nelle fin troppe contraddizioni della politica, su cui ci sarebbe molto da dire e su cui ridere amaramente.

La caricatura del difetto in satira autorizza però tutti a utilizzare quel difetto, inizialmente per riderci su, poi per dividere il mondo in uguali e diversi, con effetti culturali di medio-lungo termine che, oggi, dobbiamo fronteggiare quotidianamente.

A destra hanno capito bene che la polarizzazione delle discussioni, l’assenza artificiosa di dialogo tra parti opposte orientato al suo scopo originario, cioè il bene della collettività, favorisce il mantenimento dello status quo o il vittimismo di chi governa, che ha gioco facile nello scaricare la propria incapacità oggi sull’opposizione, domani sui comunisti, dopodomani sui giudici, in ogni caso su chi ‘non vuole dialogare’ quando è evidente che il non-dialogo è un problema di chi governa, oggi, in Italia).

Questo atteggiamento è presente su tutti i mezzi di comunicazione: il web, checché se ne dica non è diverso dai giornali da questo punto di vista, anche se l’anonimato favorisce certamente l’avanzamento di troll e di pensieri violenti in libertà.

Per sfuggire alla polarizzazione basterebbero due accorgimenti molto semplici:
1. quando siamo in disaccordo con la posizione di un’altra persona rinunciamo al solo attacco alla persona: impegniamoci piuttosto a controbattere la sua idea, a smontarla e a costruire un impianto migliore. Attaccare l’altra persona non sposterà di una virgola le sue convinzioni, che siano corrette o false. E tantomeno convincerà il pubblico che segue il dibattito della bontà delle nostre posizioni. Se dobbiamo citare il nostro interlocutore, dovremmo esplicitare i nessi logici e causali che ci inducono a farlo: per esempio x non può parlare dell’argomento y perché ha interessi economici diretti sulle politiche relative all’argomento y;

2. basta con l’utilizzo dei difetti fisici per delegittimare o attaccare l’interlocutore, basta con lo Psiconano, con l’altezza di Brunetta, con le difficoltà di eloquio di Bossi (ha avuto un ictus, non dovremmo dimenticarlo). Basta con gli stereotipi (rom = ladro, musulmano = terrorista, meridionale = scansafatiche, settentrionale = padano, per citarne alcuni). E basta con l’ispezione nella vita privata degli altri. Va bene se si utilizza il Bunga Bunga per rendere ridicole le posizioni di Berlusconi quando parla di politiche per la famiglia o di orientamenti favorevoli alla Chiesa; non ha senso parlare dei fatti suoi per legarli a contesti che non c’entrano nulla. In fondo, che differenza c’è tra questo atteggiamento e la macchina del fango, i calzini di Mesiano, il metodo-Boffo? Come vi sentireste se qualcuno usasse le vostre scelte private per teorizzare mancanze o macchie nel vostro profilo pubblico?

Sono sempre più convinto che linguaggi leggeri (non facili né banali) facilitino l’accesso alle informazioni da parte del grande pubblico. Per questo l’ironia, la satira, il sarcasmo possono essere le vere armi di persuasione di questi tempi. Chi gioca sul rovesciamento di prospettiva, sul mettere in ridicolo il potere, non può esimersi da questo tentativo di pulizia linguistica: chi usa il registro della comicità e del sarcasmo per far ragionare gli italiani, deve sapere che ha una responsabilità molto grande. Nel bene e nel male.

Gorgia diceva: “La serietà di un avversario va disarmata con il riso e il riso con la serietà.”

Siete d’accordo? Se non lo siete, commentate pure. Magari senza insultarmi.