Cronaca

La rivolta di Londra e la teoria del caos

Dopo la terza notte di saccheggi, scontri e devastazioni a Tottenham e in altri quartieri della capitale britannica, qualcuno comincia a parlare di vento di rivolta “transcontinentale”, connettendo i fatti di Londra e di Atene con i tumulti avvenuti in Egitto, Tunisia, Yemen, Bahrein, Giordania, Libia, Siria e Algeria. Ma è corretto azzardare una relazione di questo genere?

L’improvvisa esplosione di violenza londinese è riconducibile all’uccisione, giovedì, da parte della polizia, del ventinovenne nero Mark Duggan. È quindi, a prima vista, associabile ad analoghe insurrezioni urbane come la rivolta delle banlieue francesi e, andando più indietro nel tempo, ai riot di Los Angeles dei primi anni Novanta, scaturiti a seguito del pestaggio da parte della polizia del tassista afroamericano Rodney King. Il movente sembra essere il rancore sedimentato nel sottoproletariato verso la polizia, sebbene le ragioni di questi fenomeni affondino in un mix di rabbia popolare, indigenza e problemi di convivenza inter-razziale nel quale è sempre molto complicato districarsi senza scadere in mediocri e scialbe analisi sociologiche. Nulla di apparentemente paragonabile, dunque.

Eppure la particolare congiuntura economica, le rivolte del “pane” in Nord Africa e in Medio Oriente che hanno portato alla caduta dei regimi in Egitto e Tunisia e alle violente repressioni in Libia e Siria, possono, in buona parte, aver avuto un effetto-contagio in Europa.

Qui da noi non è in discussione la libertà intesa come condizione formale minima in cui un cittadino ha garantito, da parte dello Stato, il diritto a pensare, esprimersi e agire senza costrizioni e nel rispetto delle leggi. Ciò che minaccia è sempre la schiavitù e la sottomissione dell’uomo occidentale al capitale e alla possibilità, attraverso di esso, di costruirsi un futuro. Il grado di frustrazione delle underclass nelle metropoli multirazziali europee è, in questo senso, molto simile a quello delle masse diseredate costrette ai margini della civiltà umana dai regimi dittatoriali nel continente africano e in Medio Oriente.

La richiesta di democrazia (in Africa) e di giustizia sociale (in Europa) è culminata in entrambi i casi in movimenti di opposizione a strategie repressive (governative o di polizia), movimenti che hanno tra l’altro riaffermato il ruolo centrale di internet come strumento di direzione e coordinamento della lotta. Ed è interessante notare che per definizione non esiste democrazia in assenza di giustizia sociale.

Il ritorno sulla scena delle masse ribelli, a diverse latitudini, capaci in qualche modo di scrivere la storia, sembra allora figlio della medesima sotto-matrice culturale del mondo globalizzato. Insomma, il famoso effetto-farfalla (il cui battito d’ali sarebbe in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo) presente nella teoria del caos appare oggi più che mai capace di spiegare metaforicamente la rete di infiniti fiumi sotterranei che collega i fatti della storia contemporanea.

E se fosse davvero così, cosa dobbiamo aspettarci allora nel prossimo autunno, quando il collasso dei mercati comincerà a mordere la parte più sensibile della nostra società, ossia le pance dei lavoratori?