Economia & Lobby

Due film per capire <br>la crisi di Wall Street

Le ferie sono il momento migliore per comprendere in profondità cosa è successo nel 2008 a Wall Street, questione di certo non oziosa né riservata ai soli addetti ai lavori perché le conseguenze di quegli eventi, così come delle decisioni prese allora, le abbiamo pagate e le stiamo pagando tuttora ad ogni latitudine. A quasi tre anni di distanza da quei fatti, disponiamo di un libro, un film e un documentario assolutamente da non perdere per poter capire cosa è veramente successo, perchè e cosa si potrebbe fare per evitare che eventi del genere si ripetano in futuro.

Didatticamente, suggerisco di partire dal documentario Inside job del regista Charles Ferguson, premiato quest’anno con l’Oscar nella categoria “documentari”. Un’analisi chiara e profonda degli elementi che hanno portato alla crisi dei subprime e al clamoroso fallimento di Lehman Brothers: la deregulation voluta da Reagan (su pressioni della potente lobby finanziaria), l’avidità di commissioni (fee) e di bonus da parte degli operatori, i conflitti di interesse sedati a suon di parcelle milionarie, la (cieca) fiducia nella capacità del mercato finanziario di trovare autonomamente un proprio equilibrio e l’assenza di un’informazione indipendente dagli interessi economici che desse voce alle autorevoli Cassandre (ad esempio, Nouriel Roubini) che pure c’erano state.

Charles Ferguson, laurea in matematica a Berkeley e in scienze politiche al Mit, è un miliardario che ha fatto fortuna con la new economy e ha poi deciso di dedicarsi ai documentari impegnati. Rispetto ad altri registi e giornalisti, ha il vantaggio di non avere problemi per campare, né timori reverenziali. Lo stile è ben diverso da quello di un Michael Moore, sicuramente più ideologico, mentre, per certi versi, il suo impegno ricorda quello del nostro Beppe Grillo, altro miliardario che non si fa i fatti suoi.

Tra i personaggi che non hanno accettato di farsi intervistare, c’è quella oligarchia tecnocratica che attraversa indifferentemente i governi repubblicani o democratici, forse perchè risponde a interessi più alti che non sono però, necessariamente, quelli di tutti. Alan Greenspan,  presidente della Fed sotto Reagan, Bush padre, Clinton e Bush figlio; il successore Ben Bernanke, scelto da Bush figlio e confermato da Obama; Larry Summers, segretario al Tesoro sotto Clinton e consigliere di Obama; come l’attuale Tim Geithner, già a capo della Fed di New York durante i fatti del 2008. Personalmente, non credo alla insostituibilità delle persone, specie in un ambiente fortemente meritocratico come quello Usa: il segreto di certe inossidabili carriere è dovuto perciò più alla garanzia di interessi che si è capaci di rappresentare oppure ad una inconfessabile capacità di ricatto che ai soli curriculum.


L’analisi di Inside job ci prepara quindi bene ad assistere a un film carico di tensione e con un cast di attori stellare, Too big to fail (Hbo), e a leggere l’omonimo libro di Andrew Ross Sorkin cui è ispirato, che rappresenta la narrazione delle ore cruciali della crisi del settembre 2008 a Wall Street. Troppo grande per poter fallire è l’azzardo morale tipico dei responsabili del mercato finanziario, un passaporto di impunità mentre si persegue in modo irresponsabile il profitto, offrendo ad una politica credulona un modo facile per prospettare agli elettori la diffusione di un benessere, rivelatosi poi effimero, quale l’acquisto della casa. Il prezzo di questa follia collettiva è stato il distogliere, da altre finalità più meritevoli della spesa pubblica, centinaia di miliardi di dollari, il pignoramento del miraggio della casa per milioni di cittadini e la disoccupazione per decine di milioni negli Usa e nei Paesi emergenti le cui economie erano trainate dai consumi a stelle e strisce.

Le conclusioni che ho tratto da questo materiale sono una riconferma della necessità di ristabilire il primato della politica sull’economia e dell’etica sulla politica: non qualunque modalità di fare profitti o di raccogliere consenso elettorale può essere di per se stessa legittima e legittimante. Il primato della norma etica è l’unica regolamentazione che ci manca e senza la quale l’economia di mercato così come la democrazia possono diventare un’odiosa presa in giro da parte dei più spregiudicati.