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Austerità, l’Unione europea dà l’esempio

La Commissione europea ha adottato a fine giugno le sue proposte sul cosiddetto “quadro finanziario multiannuale”, in parole povere il tetto massimo del bilancio dell’Unione europea dal 2014 al 2020 più i meccanismi per finanziarlo e le linee principali di spesa.

Contrariamente ai luoghi comuni, il bilancio dell’Unione è modesto (circa l’1% del Pil dell’Ue, a confronto con una media dei bilanci nazionali degli Stati Ue che rappresenta il 44% del loro Pil rispettivo). L’intero bilancio Ue è più piccolo del bilancio dell’Austria oppure del Belgio. Vi ricordate il famoso calcolo per cui in Italia si lavora fino in estate solo per pagare le tasse, e si comincia a incassare solo in autunno? Beh, è valido per le tasse nazionali. Per il bilancio Ue, si finisce di pagare il 4 gennaio!

Inoltre, in sintonia con la proclamata “austerity” nazionale, la Commissione ha proposto un bilancio (anzi, un tetto massimo dello stesso) decrescente dal livello 2013 (1,12% del Pil) al 2020 (1,03% del Pil). Ho detto austerità “proclamata”, e infatti mentre sbandierano a destra e a manca l’austerità, gli Stati Ue hanno aumentato i loro bilanci nazionali: tra il 2000 e il 2010 sono cresciuti del 62% a fronte di una crescita del 37% del bilancio Ue; nel 2011, 23 bilanci su 27 sono ancora cresciuti, e nel 2012 24 su 27 dovrebbero ulteriormente aumentare. Insomma, nelle capitali si parla, a Bruxelles si fa – anche se poi i media vi passano un’immagine opposta.

Ma ancora non basta: sebbene le spese di amministrazione dell’Ue siano, tutto compreso, meno del 6% del bilancio globale (nota bene: tutto compreso, gli stipendi sono la metà di questa cifra), la Commissione ha proposto di strizzarle ulteriormente, spinta tra l’altro dalle pressioni politiche di un gruppo di Stati (il solito Regno Unito in testa, ma anche Francia e Germania, Olanda e Finlandia). Alcuni elementi sul tavolo del negoziato sono la riduzione del personale, l’aumento delle ore lavorate, l’aumento dell’età pensionabile e la riduzione delle pensioni e delle retribuzioni.

Insomma, un impegno lodevole e pressoché unico nel panorama europeo. Purtroppo, quando c’è la politica di mezzo, i tagli non si fanno necessariamente dove sarebbe più logico. Infatti è improbabile, o piuttosto impossibile, che per esempio si elimini la doppia sede del Parlamento europeo, oppure che si razionalizzi il numero delle istituzioni stesse (il Comitato economico e sociale e Comitato delle Regioni sono stati messi in discussione). Più probabilmente, la Commissione sarà come sempre il capro espiatorio e si taglierà sul suo personale fino al limite massimo – o anche oltre, perché ad alcuni dei firmatari della lettera di cui sopra non dispiacerebbe se la macchina smettesse di funzionare.

Sono certo che, nei prossimi mesi, ne sentirete di tutti colori sull’argomento, e la macchina del fango (sempre ben oliata quando si tratta di Ue, basta dare un’occhiata a certi commenti su questo sito) si metterà a pieno regime. Aspetto con ansia articoli come quelli di Ivo Caizzi sul Corriere, garanzia di disinformazione e cifre campate in aria.

Per ora mi premeva fare il punto sui dati di fondo, e passare un messaggio semplice: se c’è qualcuno che sta tagliando i costi della pubblica amministrazione, questo qualcuno è la Commissione europea. Nei prossimi giorni vi spiegherò perché, pur condividendo lo spirito di questi tagli, ho motivo di essere parecchio incavolato.

Disclaimer: Come riportato nella bio, il contenuto di questo e degli altri articoli del mio blog è frutto di opinioni personali e non impegna in alcun modo la Commissione europea.