Emilia Romagna

Gli agricoltori: “Frutta venduta a prezzi senza logica, noi siamo in ginocchio”

La Coldiretti ha organizzato un presidio davanti alla Regione: "La grande distribuzione ha azzerato i guadagni. E la concorrenza dall'estero è sempre più spietata"

“Siamo con le spalle al muro. Se tutti gli italiani avessero i problemi degli agricoltori si muoverebbero come stiamo facendo noi. Ci stiamo mangiando perfino la nostra azienda: per pagarci un litro di benzina dobbiamo vendere 8 chili di pesche”. Paolo Bertoni, è un agricoltore romagnolo, di Castel Bolognese. Ha 41 anni e 15 ettari coltivati a pesche, che tiene insieme a suo padre e ad alcuni lavoratori stagionali. Oggi è salito a Bologna ad offrire le sue pesche ai politici del Palazzo.

In questi giorni nei supermercati emiliano romagnoli il prezzo, stracciato, di un cestino di pesche può arrivare a 70 cent. All’estremo opposto ci sono market che le fanno a 3-3,5 euro (a Roma pare si arrivi a 7 euro). In tutti i casi, a Paolo e agli altri suoi colleghi che queste pesche le hanno curate per mesi e raccolte, rimangono appena 20-25 cent, se va bene.

Per questo motivo oggi le pesche hanno letteralmente invaso il palazzo della Regione Emilia-Romagna a Bologna, dove la Coldiretti ha organizzato un presidio, seguito da un incontro tra i vertici regionali del sindacato dei coltivatori, il presidente della Giunta, Vasco Errani e l’assessore all’agricoltura, Tiberio Rabboni. Gli agricoltori, un centinaio in delegazione, hanno costruito una specie di anfiteatro con 300 cassette di pesche davanti al Palazzo. Poi la frutta è stata distribuita gratuitamente ai dipendenti dei grattacieli della Regione.

“Obiettivo del nostro incontro era fare alcune proposte di legge alla Regione soprattutto in tema di grande distribuzione”, ha spiegato Mauro Tonello, presidente regionale e vice presidente nazionale di Coldiretti. Diverse le proposte in campo: regolamentare l’uso del “sottocosto”, che fa pagare agli agricoltori la concorrenza spietata tra i grandi supermarket; ridurre i tempi di pagamento sui prodotti deperibili, e soprattutto, fissare l’obbligo di una corretta informazione al consumatore sulla stagionalità della frutta. “Come prima azione per rilanciare i nostri prodotti – ha detto Tonello – abbiamo cercato un accordo nazionale che limitasse l’immissione sul mercato di un prodotto di minore qualità e di minor calibro, ottenendo però solo un netto rifiuto da parte della grande distribuzione di impegnarsi a non commercializzare prodotto di importazione con caratteristiche qualitative inferiori a quelle per cui si impegnavano i produttori italiani”.

Bertoni, il nostro frutticoltore romagnolo, presente oggi al presidio, è un po’ più diretto del suo presidente e se la prende con la politica: “Non chiediamo soldi, ma controlli. Come controllano noi per combattere il lavoro nero, i vigili dovrebbero controllare che nei supermercati finisca il prodotto italiano”. La Coldiretti ha istituito da diverso tempo le sue “ronde gialle”: gruppi di agricoltori della Coldiretti girano nei supermercati per controllare la regolarità, l’origine e le etichette della frutta in vendita. Ma poi chi dovrebbe prendere provvedimenti, cioè le autorità – e l’accusa di molti agricoltori – non fa niente.

Ma quanto costa oggi produrre un chilo di pesche? Ci affidiamo ancora a Paolo Bertoni. “Iniziamo a novembre con la potatura. Poi dopo l’inverno ci sono tutte le pratiche della produzione fino a maggio-giugno con le prime raccolte. Questa preparazione ci costa 38-43 centesimi. La raccolta poi costa altri 8-9 centesimi”, spiega Bertoni.

Ma se le pesche vengono pagate all’agricoltore 20 centesimi, perché fare la raccolta a fronte di 50 centesimi di spese? Semplice. “Se a noi ci pagano anche 9-10 centesimi, e facciamo 1 cent in più rispetto alla raccolta, quello è 1 cent che recuperiamo rispetto alla preparazione di sei mesi che ormai è stata fatta”. Un cappio al collo insomma e tutto in perdita. Si raccoglie per avere un po’ meno perdite, per morire più lentamente come azienda.

Seguendo i calcoli di Bertoni dunque, produrre pesche quest’anno comporta per l’agricoltore una perdita di 30 centesimi. Il rischio così è che si chiuda bottega molto presto: “A livello occupazionale la situazione per quest’anno sta reggendo, ma il problema è che se la cosa va avanti così, quest’inverno qualcuno estirperà le piante”, spiega il presidente Tonello. Se i guadagni per i coltivatori continuano a scendere, infatti, non raccogliere più la frutta o evitare di far partire la produzione potrebbe essere l’unica via per salvare il portafoglio e non buttare altri soldi.

A quel punto le pesche saremo davvero costretti a prenderle in Marocco. “Dall’Egitto e dal Marocco entrano molte produzioni. A noi i sindacati chiedono tutte le certificazioni e la Regione ci chiede di produrre con 4 principi attivi diversi. Poi nelle cassette dei nostri supermarket finiscono prodotti di importazione, da Paesi dove le multinazionali “sbolognano” tutti i prodotti chimici che non usiamo più noi”, spiega ancora Bertoni.

Ma siamo sicuri che con più soldi agli agricoltori poi la merce non aumenta per noi consumatori? “Nella forbice del prezzo che paga il consumatore, pochi centesimi in più per la produzione non significano un aumento per il consumatore. Anzi. La pesca di alta qualità si vende anche a 3 euro al chilo. Chi la paga 79 centesimi ne butta via la metà, quindi la sta pagando il doppio”, spiega il presidente Tonello. “Oggi un prezzo onesto al consumatore per la nostra frutta più buona sarebbe intorno ai 2 euro-2 euro e mezzo al chilo per starci tutti dentro con le spese e mangiare pesche buone e sane”.