Emilia Romagna

Vigna: “Soggiorni obbligati e voglia di profitto: così i clan sono sbarcati al nord”

L'ex procuratore antimafia spiega come sono nate le infiltrazioni della grande criminalità, soprattutto in Toscana ed Emilia Romagna. Quali ambizioni hanno, il potere economico che controllano

La voglia di profitto, la connivenza, l’omertà. Sono questi gli elementi che secondo un magistrato esperto e in Magistratura dal 1959, hanno portato e semplificato l’arrivo della criminalità organizzata in Emilia Romagna.

È stato Procuratore Nazionale Antimafia per otto anni, dal 1997 al 2005, quando è stato costretto a lasciare l’incarico per raggiunti limiti di età. A 68 anni Piero Luigi Vigna ha voglia di parlare, raccontare e ripercorrere i capitoli più oscuri del secondo Novecento italiano.

Lo fa con un libro, “In difesa della giustizia”, scritto insieme al giornalista Giorgio Tosi Sturlese, che Vigna ha presentato a Bologna rispondendo alle domande della professoressa dell’Ateneo bolognese, Stefania Pellegrini, docente di sociologia del diritto e titolare della cattedra Mafia e Antimafia, un corso che analizza in chiave sociologica e giuridica la portata della criminalità organizzata. Il libro ripercorre una grossa fetta della Storia italiana, attraverso le numerose e importanti indagini che il magistrato ha condotto nella sua lunga carriera. Stragismo degli anni di piombo, delitti del Mostro di Firenze, i rapimenti dell’Anonima sequestri, le trattative Mafia-Stato.

Dottor Vigna, lei ha combattuto per anni Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta, anche e soprattutto da Procuratore Nazionale Antimafia, ma qual è stato il momento storico in cui le famiglie hanno iniziato a spostarsi al Nord e ad investire in questi territori?

Il primo momento credo che sia stato molto risalente, cioè quando alcuni mafiosi o camorristi sono stati inviati al soggiorno obbligato anche in Emilia Romagna.

Da quel momento iniziano i loro affari al Nord?

Certamente. L’illusione era che lo spostamento coatto potesse rompere i rapporti con le persone d’origine e con le famiglie. In realtà il mafioso trasferito coattivamente si è portato dietro non solo i familiari, ma anche i suoi soci in affari. Si sono poi stabilizzati e hanno creato le radici per le loro attività.

In Regione fortunatamente scorre poco sangue, ma di denaro sporco invece ne gira a fiumi…

Il sangue non conta molto. Oggi il vero capitale delle organizzazioni sono le relazioni sociali, i rapporti con le persone del luogo. Che sono prevalentemente instaurate col mondo imprenditoriale e anche con quello amministrativo politico. Non c’è alcun bisogno di far scorrere il sangue. Quella è l’ultima ratio, meglio il silenzio.

Ma qual è il motivo per cui hanno avuto una presa facile sul territorio?

Questo è difficile da spiegare. Soprattutto quando penso alla grossa attività informativa sul pericolo mafioso che si è fatta in Emilia Romagna o anche in Toscana. Ma nonostante ciò sono entrati nel tessuto sociale e lo hanno impregnato. L’interesse denaro e il profitto hanno fatto da padroni della situazione.

Quindi connivenza e omertà stanno alla base di questa piovra?

Credo di sì. In fondo la società è fondata sul profitto e non sugli ideali, e questo fa portare ad ogni cosa. La voglia di raggiungerlo è tanta e per farlo si è omertosi e conniventi.