Emilia Romagna

Referendum scuole, il bavaglio del Comune

No al bavaglioCiò che temevamo potesse succedere è successo: i “Garanti” del Comune di Bologna hanno bocciato il quesito referendario sui finanziamenti alle scuole private confessionali. Con una decisione illegittima, con motivazioni giuridicamente inconsistenti, hanno messo il bavaglio ai cittadini e negato loro la possibilità d’esprimersi sul futuro della nostra scuola pubblica – statale e comunale – e sull’uso dei soldi dei contribuenti.

Le motivazioni dei “Garanti” sono la fotocopia della memoria depositata dalla Presidente della Commissione Affari Generali (Castaldini, Pdl). Memoria scritta con la consulenza dell’ufficio giuridico del Pdl alla Camera dei Deputati e grazie all’interessamento del cupo Garagnani.

Vediamole in dettaglio.

Problema numero uno: vizio procedurale. Il Comitato Articolo 33, che promuove il referendum, ha chiesto visione della memoria Castaldini, dopo che è stata presentata ai “Garanti”, i quali hanno impedito l’accesso agli atti. In questo modo, i referendari sono stati bloccati nell’esercizio di un loro diritto, quello di presentare delle controdeduzioni volte a difendere il quesito. Tutto ciò nonostante il giudice – che già una volta ha bocciato le decisioni dei Garanti – avesse ricordato loro che “il Comitato promotore di referendum agisce nel relativo procedimento in condizione di piena parità con il Comitato dei garanti, in quanto titolare di una situazione soggettiva volta alla realizzazione del diritto politico dei cittadini elettori”. La memoria ci è stata consegnata solo a decisione avvenuta.

Problema numero due: giurisprudenza creativa. Dopo la finanza creativa di Tremonti, siamo alla giurisprudenza-fai-da-te. I “Garanti” inventano un obbligo del Comune a finanziare le scuole private paritarie, pena una loro “discriminazione”. Il che equivale a sostenere che se non finanzi una clinica medica privata sottraendo risorse alla sanità pubblica, allora “discrimini” le strutture fuori dal Servizio Sanitario Nazionale. Oltre che grottesca, questa argomentazione è significativa del livello di distruzione che vive il “pubblico interesse”: scuola, acqua e sanità non sono più “beni comuni” che solo lo Stato deve tutelare; diventano invece occasioni di business che le Istituzioni devono foraggiare col danaro pubblico.

Per la costruzione di questo castello di carte ciellino/liberista, i “Garanti” fanno capriole degne del miglior acrobata di circo. Qualche esempio: secondo loro, il principio costituzionale della sussidiarietà è supremo, ovvero sovrasta qualunque altro articolo della Magna Carta, anche quelli dove lo Stato impegna s’è stesso a garantire i livelli di assistenza e di scolarità (il nostro amato art. 33); secondo loro, la legge 62/2000 (la legge di parità) impone agli enti locali di finanziare le scuole private paritarie. Se andiamo a leggere il testo della legge questa imposizione è inesistente.

Problema numero tre: fischi per fiaschi. Abbiamo presentato un quesito per un referendum consultivo comunale. I “Garanti” l’hanno trattato giuridicamente come se fosse un referendum abrogativo e come se avesse anche – oltre all’ovvio valore politico – un effetto normativo. Così non è e l’errore è tanto macroscopico quanto sintomo della volontà politica di bocciare il quesito.

Problema numero quattro: criteri di ammissibilità di un quesito. Lo Statuto del Comune di Bologna (art. 7, c. 4) dispone che un referendum è ammissibile se risponde alle seguenti quattro condizioni: a) esclusiva competenza locale; b) esclusiva competenza del Consiglio a deliberare; c) attività deliberativa effettivamente in corso; d) congruità e univocità del quesito. Questi e solo questi sono i parametri che i “Garanti” avrebbero dovuto usare per giudicare l’ammissibilità della nostra proposta. Se ne sono ben guardati, perché in effetti li soddisfa tutti e quattro e sarebbero stati costretti a dire .

***

Dopo la decisione dei “Garanti”, sono partiti i cori dei politici, che vanno dall’esultanza (“Abbiamo vinto”, Pdl e Udc) al sospiro di sollievo che fa seguito a un violento terrore (“Rispettiamo il pronunciamento”, Pd). Così commentando (senza peraltro aver analizzato nel merito le motivazioni), hanno dimostrato quanto poco hanno a cuore la partecipazione del corpo elettorale e la credibilità delle Istituzioni.

Purtroppo per loro e per fortuna per la cittadinanza, hanno altrettanto poco da esultare a Palazzo d’Accursio e in via Altabella: il referendum non è morto, perché qualunque giudice ci darà ragione. Il referendum tornerà presto in campo, più forte di prima. Lo stop dei “Garanti” non cambia di una virgola la scaletta dei referendari e faccio qui una pubblica scommessa: in autunno partiremo con la raccolta delle firme.

Ciò scritto, un’ultima grave e grève considerazione resta da svolgere: lo stato di salute della democrazia cittadina è in pessime condizioni. Poteri forti prendono decisioni fuori dalle sedi elettive; a queste ultime è affidato il compito di giuridicizzare e ratificare la violazione della Costituzione, delle leggi ordinarie e dei regolamenti comunali.

Istituzioni umiliate e stravolte, che diventano così strumenti al servizio dell’invasione senza freni dei partiti. Ai cittadini è dunque vietato concorrere alla determinazione dei contenuti e dei tempi dell’agenda politica: l’autoreferenzialità della casta è completa.