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Referendum, vertice della Lega in via Bellerio <br/> Pronta la strategia per mollare B.

“Alle Amministrative due settimane fa abbiamo preso la prima sberla, ora con il referendum è arrivata la seconda sberla e non vorrei che quella di prendere sberle diventasse un’abitudine. Per questo domenica andremo a Pontida per dire quello che Berlusconi dovrà portare in Aula il 22 giugno , visto che vorremmo evitare che, in quanto a sberle, si concretizzi il proverbio per cui non c’è il due senza il tre”. Roberto Calderoli ufficializza così quanto tutti ormai aspettavano e prevedevano: la resa dei conti cadrà tra Pontida e la verifica parlamentare di martedì. Perché il problema non è solo l’alleato ormai scomodo Berlusconi, ma anche il Carroccio.

“Devo sistemare il mio di partito”, Umberto Bossi lo sapeva già un mese fa che la sua Lega si stava sfilacciando. Ma se la sconfitta alle amministrative ha chiaramente mostrato la rabbia e la delusione della base leghista, il referendum ha lasciato emergere in modo evidente tutte le fratture interne al Carroccio. Così, a pochi giorni dalla resa dei conti di Pontida, il Capo è costretto ad affrontare in modo chiaro i suoi colonnelli. Da Roberto Maroni, che battibecca con Giulio Tremonti e minaccia elezioni anticipate, a Roberto Calderoli, che insiste con il trasferimento dei ministeri al Nord, a tutti i leader nazionali e locali che non hanno boicottato il referendum ma anzi sono andati a votare e l’hanno pure fatto sapere. Uno su tutti: Luca Zaia. Il governatore del Veneto ha annunciato fiero a urne aperte di aver votato “quattro sì”. Ma certo, ha aggiunto, “l’ho fatto da cittadino, non da presidente della Regione”. Come il sindaco di Varese, Attilio Fontana. Anche lui ha partecipato alla tornata referendaria. Molti si trincerano dietro l’ordine di scuderia dato dal capogruppo Marco Reguzzoni: libertà di coscienza. Ma certo Bossi era stato chiaro. Se inizialmente aveva definito “interessante” il quesito sull’acqua, poi ha innescato la marcia indietro arrivando, ieri, ad augurarsi che “la gente non vada a votare” perché “è inutile”. Per molti è come se non avesse parlato.

Su queste premesse il Capo, raggiunto il quorum, ha convocato lo stato maggiore del Carroccio nel quartier generale milanese di via Bellerio. Sul tavolo il risultato del referendum, certo. Ma soprattutto la necessità di ritrovare una linea comune da adottare, almeno in apparenza. E almeno fino a Pontida, domenica prossima, quando la Lega dovrà presentarsi sul Sacro Prato a confrontarsi con una base a dir poco furiosa. E lì Bossi dovrà decidere se ascoltare quanto ormai da mesi gli elettori padani gli chiedono: mollare Silvio Berlusconi. E l’intervista di Maroni (oggi al Corriere della Sera) è una “indicazione chiara” al Capo inviata da una parte di quel partito che il ministro dell’Interno vorrebbe guidare e a cui si limita (ancora) a fare solo da portavoce. “Berlusconi deve iscriversi nella categoria dei coraggiosi e lanciare un programma ambizioso. Deve farlo adesso, il 22 giugno davanti alle Camere”, ha detto Maroni. Altrimenti “si va a votare”. Tradotto per Bossi, più o meno suona così: la verifica parlamentare “apparecchiata” da Giorgio Napolitano per il 22 giugno è forse l’ultima occasione per tenere in piedi la Lega ma bisogna sacrificare il governo.

Maroni è stato l’ultimo a raggiungere via Bellerio, a metà pomeriggio. Al suo arrivo ha trovato Bossi, Roberto Calderoli, Federico Bricolo, capogruppo della Lega in Senato e Roberto Cota, presidente della Regione Piemonte.