Diritti

Vivisezione, confermate<br> le pratiche peggiori

La Commissione europea le compila e le mette online con diligente regolarità ma al pubblico non arrivano mai: sono le statistiche sulla vivisezione, che i grandi mezzi d’informazione ignorano con altrettanta scrupolosa precisione.

L’ultima Relazione ufficiale riporta i dati del 2008. In quell’anno, nei laboratori dell’Unione europea sono “transitati” – vale a dire sono stati infettati, avvelenati, mutilati, uccisi – più di 12 milioni di animali. Oltre l’80% di questi erano topi, ratti e conigli. Ma in pratica nei 27 paesi dell’Ue si può sperimentare su tutto ciò che vive, scappa, si accoppia e mette al mondo dei cuccioli. Grazie a una potente rete organizzativa – con specialisti e manovali disseminati nei cinque continenti che allevano in appositi stabilimenti gli animali oppure li catturano nel loro ambiente naturale, li riducono alla ragione e infine li immobilizzano in gabbie grandi quanto loro -, negli stabulari europei approdano alcune migliaia di volpi, maiali, cavalli, pecore, asini, lontre, lama, castori, gerbilli, cincillà, criceti armeni, pappagalli, quaglie, canarini, pesci, anfibi, serpenti e pipistrelli. E poi, naturalmente, ci sono i cani (21.315 esemplari nel 2008), i gatti (4.088 esemplari) e le scimmie (10.449 esemplari).

Contraddicendo ogni speranza, la direttiva sulla sperimentazione animale approvata dal Parlamento di Strasburgo nel settembre 2010, ha confermato alcune delle peggiori pratiche vivisettorie esistenti: per esempio la possibilità di riutilizzare più volte lo stesso animale in procedure che gli causano intenso dolore, sofferenza e angoscia; la deliberata esposizione di animali coscienti a condizioni estreme di freddo, caldo, pressione barometrica; la morte per avvelenamento da tossine mescolate al cibo o per lo sfinimento che sopraggiunge quando si è costretti a nuotare senza interruzione (giusto per cronometrare quanto tempo ci mettono); la libertà di sperimentare sui primati nella ricerca di base, un settore che non mira a trovare cure né medicine; e ancora: la possibilità di praticare l’apertura del torace e altre importanti operazioni chirurgiche senza far uso di anestetici né antidolorifici. E così, in Inghilterra, l’unico paese disposto a fornire dati di questo tipo, non più del 40% degli animali utilizzati riceve “una qualche forma di anestesia”. Immaginate gli altri.

Proprio Londra potrebbe essere una delle prime capitali europee a completare il recepimento della direttiva, forse già quest’autunno. Nelle intenzioni del governo britannico sarà un processo rapido e indolore: a quanto si sa, infatti, il compito di elaborare il testo spetterà al Home Office, il Ministero dell’Interno, che non lo porterà in Parlamento se non per la votazione finale. Le principali associazioni animaliste sono insorte con un documento duro e circostanziato.  “E’ allarme rosso” sostiene la Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals, la più antica di loro. Ha ragione, perché senza un dibattito politico e parlamentare, il Regno Unito rischia di passare, in fatto di protezione degli animali, dall’avanguardia alle retrovie. E lo stesso, se non peggio, potrebbe accadere all’Italia.

Ma perché stupirsi. Lo scopo, neppure tanto segreto, della nuova legge era proprio questo: uniformare ai livelli più bassi gli standard operativi, e dunque i costi, dei 27 paesi dell’UE. Il fatto che qualcuno di loro garantisse ai “propri” animali da laboratorio qualche vantaggio in più costituiva solo un intralcio, un “ostacolo agli scambi di prodotti e sostanze per lo sviluppo dei quali sono effettuati gli esperimenti sugli animali”. Individuato il problema, il rimedio s’è presto trovato. Il suo nome è direttiva  2010/63/UE. Il suo compito: “ridurre le disparità al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno” [la fonte del virgolettato è la direttiva stessa, pagina 2, considerando 1]. Viceversa, eccezion fatta per gli eurodeputati dell’Idv e pochissimi altri che a Strasburgo hanno votato contro, se la vivisezione non sia buona bensì “cattiva scienza“, come argomenta un medico, André Ménache, se la direttiva faccia scempio di ogni principio e dello stesso buon senso, non è cosa che turbi il sonno né che riguardi il Parlamento. E perché dovrebbe? Se va bene al mercato…