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Afghanistan, crescono le proteste <br/>dopo i raid della Nato

Soldati americani in Afghanistan

Il copione sembra quello della tragica protesta a Mazar-e-Sharif il primo aprile scorso, quando il compound dell’Onu venne travolto da una folla di manifestanti e dodici persone, tra personale Onu, guardie e civili afgani, rimasero uccise. Questa mattina alcune centinaia di persone hanno manifestato davanti alla sede del Provincial Reconstruction Team di Taloqan, capoluogo della provincia di Takhar, nel nord dell’Afghanistan. Protestavano contro un raid della Nato e dell’esercito afgano, avvenuto poche ore prima appena fuori Taloqan, e costato la vita ad almeno quattro persone. Secondo la Nato, si trattava di guerriglieri; secondo i manifestanti erano civili.

«Un gruppo di uomini armati si è infiltrato tra la folla e ha cercato di assalire gli uffici del Prt», ricostruisce Lal Mohammed Ahmzai, addetto stampa della 303° brigata di stanza nel Pamir. In quel momento, le forze di sicurezza a guardia del Prt hanno aperto il fuoco sui manifestanti, uccidendone almeno 10 e ferendone una cinquantina.

Le versioni sul raid che ha causato le proteste sono divergenti. Secondo la Nato, le quattro persone uccise nel villaggio di Gowmali erano «insurgents», mentre secondo Faiz Mohammed Towdi, portavoce del governatore di Takhar, due delle vittime erano donne.

L’emittente britannica Bbc riferisce che la situazione a Taloqan rimane estremamente tesa.

La provincia di Takhar, che ha circa 850 mila abitanti, non è considerata uno dei fronti più caldi del paese, tuttavia, come in altre parti del nord dell’Afghanistan, c’è stata negli ultimi tempi una recrudescenza delle attività della guerriglia.

In un rapporto di alcune settimane fa, curato dall’Afghan Analysts Network, i ricercatori Antonio Giustozzi e Christoph Reuter segnalavano che «fino a poco tempo fa era molto diffusa la convinzione che il Nord dell’Afghanistan fosse immune dalle infiltrazioni talebane». Questo, secondo i due ricercatori, essenzialmente per due motivi. Il primo è che «i talebani venivano percepiti come un movimento puramente pashtun da parte degli analisti occidentali e del governo afgano». Il secondo motivo è che fino al 2008 il livello di infiltrazione dei talebani è rimasto molto basso, e «i tentativi dei talebani di guadagnare appoggio e costruire cellule nelle cosiddette ‘enclavi’ pashtun del nord, andati avanti fin dal 2005, non si sono tradotti in azioni militari e sono stati velocemente considerati dei fallimenti da parte della Nato/Isaf e delle forze afgane».

Le cose sono cambiate dal 2008 in poi, spiegano i ricercatori, e per l’inizio del 2010 «i talebani avevano guadagnato il controllo politico e militare» di diversi distretti delle province settentrionali, compresa «gran parte del nord di Takhar». Una delle caratteristiche principali dell’infiltrazione talebana nel nord dell’Afghanistan, secondo Giustozzi e Reuter, è proprio il fatto che nel reclutamento di guerriglieri locali l’approccio non è etnico ma ideologico e punta a superare le divisioni etniche attraverso l’enfasi sulla comune battaglia per scacciare gli invasori. L’attacco al Prt di Taloqan dimostra che anche nel nord dell’Afghanistan la Nato rischia di sbagliare i propri conti.

di Joseph Zarlingo – Lettera 22