Saturno

Logica della prostituzione

150 mila euro ed elezioni assicurate: questo il prezzo che è stato offerto a un parlamentare Pd per cambiare schieramento. Voi accettereste? Perché lo fareste, se sì, e perché no, se no? Vi è mai capitato di trovarvi di fronte a occasioni di questo tipo (se mai per importi più modesti)? Purtroppo no, qualcuno direbbe. Anzi: «io pagherei per farmi corrompere!», diceva Gian Renzo Morteo, intellettuale raffinato e professore di Storia del Teatro negli anni Settanta e Ottanta dello scorso secolo.

A parte la battuta, per orientarsi nella grande compravendita sessuale intellettuale e morale in cui è sprofondata l’Italia bisognerebbe chiarirsi le idee su che cosa significhi vendersi, e comprare il corpo e/o la mente di un’altra persona. Ci occorrerebbe una logica della prostituzione, nel senso più ampio del termine.

Il problema fondamentale è l’argomento-base di Giuliano Ferrara e di altri nichilisti interrotti (di nichilisti interrotti, di che cosa siano e come agiscano, parlerò in un altro post): tutti si vendono, e tutti comprano corpi e menti altrui. Tesi semplicemente falsa, ma che si avvale di ragioni intuitive.  Per esempio, tra la moglie nullafacente dell’uomo ricco e la prostituta di strada c’è sul piano analitico una evidente continuità: sono i due capi di un vendersi continuo, che ha modalità quanto mai variegate.

Dove “tagliare”? Dove collocare il discrimine? È facile trovare altri esempi. Che differenza c’è tra la deputata che vende il suo voto al Presidente del Consiglio per salvaguardare l’azienda di famiglia e la escort che per ragioni professionali gli vende le sue prestazioni sessuali? L’ambiguità della Chiesa cattolica nei confronti dei comportamenti del premier («i cardinali Bagnasco e Bertone sono dalla mia parte, perché sono l’unico argine contro il ritorno del laicismo») è il frutto di un’accorta concertazione politica, o equivale a barattare lo spirito per il potere? Che differenza c’è tra questo vendersi e quello di Ruby, che riceve (forse) quattro milioni e mezzo per due o tre dichiarazioni false? Che differenza c’è tra Emilio Fede, che fa gentili pressioni sul premier perché foraggi l’amico Lele Mora in difficoltà, precisando che la «riservatezza» di Mora è da tenere in conto, poi (come da intercettazioni) pattuisce una percentuale sul ricavato, e la madre di Nadia Macrì che implora il premier: «ci aiuti lei!»? Intuitivamente, diremmo che i secondi termini sono moralmente preferibili: meglio la escort della deputata, meglio Ruby degli alti prelati opportunisti, meglio la madre in difficoltà, piuttosto che il vecchio giornalista corrotto. Ma non è così facile spiegare perché.

Il problema è ciò che in metafisica e in logica si chiama la vaghezza: non è facile stabilire il confine tra ricatto ed elargizione, concertazione democratica e patto criminale, amichevole scambio di favori e prostituzione. È la difficoltà fondamentale di molte questioni politico-giuridiche: dove fissiamo il limite? Forse nell’intenzione dell’agente morale? Ma l’intenzione è ancora più vaga e imprendibile dei fatti e dei comportamenti in cui si esprime…

Suggerisco di applicare un’idea classica della tradizione marxista: l’idea di plusvalore, o di valore sottratto, rubato. Comprare le menti è come comprare i corpi, e possiamo stabilire che in entrambi i casi lo scambio è ingiusto se c’è un plusvalore rubato, qualcosa che viene sottratto, da una parte, o dall’altra, o da entrambe le parti.

Facciamo un esempio di prostituzione intellettuale, che è sempre un caso edificante. L’intellettuale che “compra” le parole di un collega, e si fa scrivere una recensione entusiastica a un libro pessimo o mediocre promettendo altri favori, verrebbe forse definito furbo, o anzi: normalmente abile (molti lo fanno). Eppure questo signore, a ben guardare, non ha realmente quel che voleva, ossia il riconoscimento pubblico del valore del suo lavoro. Dunque ecco la prima sfasatura: chi compra, ottiene solo un simulacro di quel che ha pagato (un simulacro di amore, nel caso del cliente della prostituta, di riconoscimento pubblico nel caso dell’intellettuale manipolatore): quel che davvero cercava gli viene comunque sottratto.

D’altra parte, chi si vende, ha ceduto qualcosa di più di quel che ha di fatto venduto. Il recensore comprato vende non soltanto la recensione, ma anche la faccia, o al limite la stima di sé. Potrebbe non importargli un bel nulla, ma certo è che dal punto di vista squisitamente economico c’è qualcosa che gli viene tolto. A chi finisce il plusvalore rubato? Chi si avvantaggia del furto, da una parte e dall’altra? Semplice: il sistema della compravendita (sessuale, intellettuale, morale, ecc.). Il meccanismo si nutre precisamente di questo sistematico furto alla mente e alla vita delle persone coinvolte. Infatti, chi ha comprato la recensione non sarà certo soddisfatto di quel simulacro di riconoscimento ricevuto, e avrà bisogno di rilanciare il gioco. D’altra parte, il venduto, visto che si è già venduto, non esiterà a vendersi ancora.