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Guerra in Libia, che deve fare l’Italia?

Ormai è ovvio: avremo la guerra in Libia, cioè alla porta di casa. Una guerra che coinvolgerà, a diverso livello di impegno, più nazioni.

L’Italia prima “rispetta” il colonnello, poi si allinea alle posizioni europee. Ora – secondo me – rischia di strafare. Mentre la Francia spara i primi colpi contro quattro veicoli militari, Gasparri dichiara che l’Italia farà la sua parte ma l’Onu si deve accollare il problema dei profughi, che non può essere solo italiano.

Come non concordare? Mi chiedo solo come farà l’Onu a organizzarsi in tempi brevi, se altre nazioni non offrono spazi. L’Onu è un macchinone pesante da spostare, molto burocratico, e ovviamente non ha un suo territorio. I campi profughi dovrebbero essere ospitati da altre nazioni. Ma i vari paesi amici europei non sembrano molto propensi. E tirare su dei campi profughi alle porte della Libia… dove? Il paese confina con la Tunisia, l’Algeria, il Niger e il Ciad, il Sudan e l’Egitto. Tutti stati con molti problemucci e qualche buona guerra, o qualche rivolta. Situazioni instabili e potenzialmente pronte a scoppiare.

Inoltre, prima che girino gli ingranaggi dell’Onu in Italia ci saranno decine di migliaia di profughi dalla Libia. I quali, sia chiaro, al momento pare che siano soprattutto giovani di buona cultura che cercano condizioni di vita migliori. Perché i combattenti stanno lì e, appunto, combattono. Ancora le persecuzioni non sono iniziate perché Gheddafi non ha vinto. Ancora.

Va bene, l’Italia ha dato gli spazi arei. Ma secondo voi che deve fare? Partecipare attivamente o no? E perché sì – o perché no?

Secondo me, opinione personalissima ovviamente, meglio di no. Più conveniente. Offriamo spazi aerei, offriamo rifugio, offriamo le basi. Ma andare a partecipare ad altre azioni – forse perdenti – alle porte di casa, beh, proprio no. L’Afghanistan è lontano, la guerra lì è una guerra persa ma è lì. Ma la Libia sta qui, difronte a noi. Proprio alle porte di casa.

Aiutare sì. Ma suicidarsi no.