Ambiente & Veleni

Una Repubblica fondata sul lavoro?

Ero in Umbria per incontri, qualche mese fa, quando un amico che lavora al sindacato mi ha raccontato del curioso caso di una ragazza la quale dopo un mese di lavoro in un call center si era ritrovata una busta paga di “-8 euro”. Non si trattava di un errore, era tutto in regola. Il mio cervello si rifiutava di crederlo… questo non esisteva nemmeno ai tempi dei faraoni; gli schiavi almeno lavoravano gratis!!!

Ma questa logica di precarietà non riguarda solo i call center, che vengono sempre presi come esempio simbolo, ma sta penetrando anche in ambiti molto diversi. Una mia cara amica che da 7 anni lavorava come stimata professionista in una importante radio nazionale si è vista chiudere un programma da un giorno all’altro, con una semplice telefonata, “per esigenze di palinsesto”.

La disoccupazione, specie quella giovanile e in particolar modo femminile, è a mio avviso la vera emergenza nazionale. Se ne parla spesso ma molto raramente in modo costruttivo. Il Governo si limita a dire che si tratta di “un problema strutturale che viene da lontano”, il che è sicuramente vero, ma in questo modo non fa nulla più che scaricare la responsabilità su altri e lavarsene le mani.

L’occupazione inoltre viene sempre legata indissolubilmente alla crescita economica, con un dogma di fede che nessuno osa mai mettere in discussione e che sposta quindi immediatamente il discorso sul tema della crisi economica internazionale.

In un bel post nel loro blog sul Fatto Quotidiano, Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio smontano chiaramente questo mito della crescita come fonte di occupazione, mostrando come in Italia, dal 1960 al 1998, il prodotto interno lordo sia più che triplicato mentre, con la popolazione cresciuta appena del 16,5%, il numero degli occupati è rimasto costantemente intorno ai 20 milioni. “Una crescita così rilevante non solo non ha fatto crescere l’occupazione in valori assoluti, ma l’ha fatta diminuire in percentuale, dal 41,5% al 35,8% della popolazione.”

Allora cosa possiamo fare per cercare di arginare la deriva che sta trascinando milioni di giovani nella disperazione? Secondo gli ultimi dati, infatti, la disoccupazione giovanile si attesta al 29%, il peggior dato dal 2004, con un aumento del 2,4% in un anno. Eppure le idee e le proposte concrete non mancherebbero affatto!

Prendiamo ad esempio la gestione dei rifiuti, che viene sempre presentata come un problema, mentre potrebbe essere una straordinaria occasione per creare occupazione stabile, raggiungendo al contempo risultati positivi in termini ecologici e di risparmio economico. Investendo meno di un miliardo di euro si potrebbero servire con la raccolta domiciliare i 45 milioni di italiani non ancora raggiunti dal servizio. Come ha spiegato Michele Boato: “Si creerebbero così non meno di 200.000 posti di lavoro, contro i soli 3.000 occupati che lavorano tra inceneritori e discariche”, impianti che fra l’altro hanno un costo di 10-15 miliardi di euro. “La ricaduta occupazionale del riciclo rispetto all’incenerimento è di mille posti a uno.”

Lo stesso potremmo dire per la tutela del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico: secondo i conti di Legambiente, il budget italiano 2010 per la prevenzione è stato di appena 55 milioni di euro, mentre negli ultimi 12 mesi sono stati spesi 238 milioni di euro per fronteggiare le varie emergenze legate a frane e inondazioni. Il 70% del territorio nazionale si trova in aree classificate ad alto potenziale di rischio idrogeologico. Le ragioni sono ben note: un’urbanizzazione senza regole, l’abusivismo edilizio, la cementificazione selvaggia, il disboscamento, l’incuria del territorio e l’alterazione dell’equilibrio idrogeologico dei corsi d’acqua.

Il riassetto del territorio potrebbe dunque essere un’occasione imperdibile per creare nuovi posti di lavoro stabili: prendersi cura del territorio, manutenerlo, controllandolo periodicamente e prevenire potenziali pericoli non con gigantesche opere inutili e spesso dannose (il cemento accelera la velocità dell’acqua…), ma attraverso interventi mirati e rispettosi dell’ambiente. E inoltre una seria lotta agli incendi e al disboscamento, tra le cause principali dell’erosione del suolo, visto che le radici delle piante, e degli alberi in particolare, costituiscono una delle barriere più efficaci contro l’erosione del terreno. Senza infine dimenticare una vera lotta agli illeciti ambientali.

Secondo l’Anbi (Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari) per fare questo basterebbero 4,1 miliardi da spendere in piccole e piccolissime opere di manutenzione, ammortizzabili in poco tempo, se pensiamo che le alluvioni nel solo periodo 1994-2004 hanno prodotto danni per 20 miliardi. Occorre però un netto cambio di mentalità, che ci porti dalla logica dell’emergenza a quella della prevenzione.

E’ stato calcolato che solo nella legislatura in corso, da maggio 2008 ad agosto 2010, su 104 riunioni del Consiglo dei ministri complessivamente tenute, in 63 sono stati adottati provvedimenti d’emergenza. Nel dettaglio: 47 dichiarazioni dello stato di emergenza; 107 proroghe dello stato d’emergenza. Complessivamente quindi 154 provvedimenti d’emergenza in 104 riunioni del consiglio dei ministri.

Einstein diceva che “l’uomo intelligente risolve i problemi, ma l’uomo saggio li previene”.

Proviamo a riflettere ora sulla difficilissima situazione del lavoro femminile. Una donna su due non lavora e non cerca lavoro. Quelle attive, infatti, sono solo il 46,3% a fronte di una media europea del 58%. Non solo: il 27% di esse abbandona il posto dopo la nascita del primo figlio.

Il rapporto Eurispes sottolinea quanto la condizione familiare della donna pesi sulla sua situazione lavorativa. In Italia la spesa pubblica per la famiglia è tra le più basse (solo l’1,3% del Pil) e solamente lo 0,15% è dedicato all’assistenza ai bambini. La Francia, tanto per fare un esempio vicino a noi, spende più del triplo (3,79%).

Eppure, paradossalmente, quello che sembrerebbe essere il problema, potrebbe essere proprio la soluzione! Recenti analisi della Cna dimostrano che “l’ingresso nel mercato del lavoro di sole centomila donne oggi inattive farebbe crescere il nostro Pil di 0,28 punti l’anno, consentendo di finanziare un incremento del 30% della spesa pubblica per le famiglie”. Non solo: l’occupazione femminile crea altro lavoro: per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro si creano sino a 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi.

Infine vorrei ribadire, come risulta da tutte le ricerche sul tema, l’importanza di investire sull’istruzione e sulla formazione per creare occupazione qualificata. Secondo il recente rapporto dell’Ocse sull’educazione, invece, l’Italia è al penultimo posto fra i paesi europei per quanto riguarda la percentuale di Pil destinata all’istruzione, con il 4,5% del Pil investito. Siamo davanti solo alla Slovacchia (con il 4%), ben lontani dalla media dei paesi Ocse pari al 5,7%; per non parlare poi dell’eccellenza europea, l’Islanda, che guida la classifica con il 7,8 % del Pil.

Insomma, le idee e le proposte non mancano. Occorre però la volontà di realizzarle, o forse sarebbe meglio dire che occorre una nuova classe dirigente che le rappresenti seriamente.

Per saperne di più: www.micheledotti.it