Mondo

Troppi vecchi per<br>la rivoluzione

“Tutto il mondo arabo sta cambiando, tranne l’Italia”, avrebbe sintetizzato con ironia giorni fa un esponente della stampa nazionale. I giovani maghrebini e mediorientali stanno votando (come dicono gli inglesi) “con i loro piedi”, marciando contro i regimi decennali e travolgendo nella loro corsa dittatori e satrapi che nel nostro immaginario e nella nostra percezione pensavamo solidi e inamovibili. Adesso anche Gheddafi, ovvero sempre più vicino alle nostre sponde (sempre più a rischio di essere porto d’arrivo degli immigrati mediterranei).

Il governo italiano segue in silenzio – sgomento, imbarazzo o convenienza? – lo sconvolgimento mentre le molteplici manifestazioni di opposizione in Italia (certo non una dittatura, ma certo non un regime di governo normale) si declinano al femminile, allo studentesco e al pensionistico in generale (i sindacati). Dalla parte settentrionale del mare l’imperativo che si leva è sempre quello dell’ormai storico “resistere, resistere, resistere” (12 gennaio 2002 del 72enne F.S. Borrelli), che ancora risuona come slogan.

Perché in Italia non si può fare una rivoluzione (intesa come cambiamento, come modificazione pur solo politica della situazione e del clima nazionale)? La risposta non può che venire da fuori, da un inglese che alla domanda risponde, con efficace sintesi ironica britannica: perché il “vostro è un paese vecchio e di vecchi” (statisticamente il secondo al mondo – ormai quasi il 20% della popolazione over 65, che adesso arriva tutta insieme, in quanto baby boomers, alla pensione – dopo il Giappone, civiltà in declino ormai da un paio di decenni). Fresco vincitore del festival di Sanremo – banalmente detto “specchio del paese” e presentato da un 66enne appassionato maratoneta  Vecchioni, 67 anni.