Politica

Il paradosso di FLI: è un partito berlusconiano?

Dal 6 novembre 2010, giorno del lancio ufficiale di Futuro e Libertà a Bastia Umbria, al primo febbraio 2011 ne sono cambiate, di cose, in Italia. Anche se la politica sembra ferma e sicuramente lo è per quanto riguarda le scelte di governo per il nostro Paese, in realtà abbiamo a che fare con un concentrato di movimenti, emozioni, sbalzi e colpi di scena la cui portata è ancora oggi di faticosa comprensione.

Emerge però una piccola ma pressante certezza: il partito Futuro e Libertà, pur essendo rappresentato da una leadership carismatica, autorevole e politicamente “pura” come quella di Gianfranco Fini, è un partito che, dal punto di vista comunicativo, è molto più berlusconiano del PDL.

FLI esiste se Berlusconi parla di Fini. Quando lo ignora, perde automaticamente consenso. Ne parlava qualche giorno fa Alessandra Ghisleri, sondaggista di fiducia del premier (Euromedia Research), a dimostrazione che questo movimento dell’opinione pubblica è già gestito e controllato.

I sondaggi davano ragione al partito di Fini proprio nel momento di maggiore difficoltà del suo leader: durante l’estate dell’assedio alla famiglia Tulliani alla ricerca della verità sulla casa di Montecarlo. Dopo lo strappo della direzione nazionale del PDL, bisognava annientare il valore politico della scissione del Partito e dell’abiura da parte di uno dei due fondatori e così è partita la campagna di stampa contro il fondatore di FLI.

Poi c’è stata la convention del 6 novembre: momento di grande orgoglio per i finiani, nessun beneficio dal punto di vista del potenziale elettorale a breve termine. Passato lo shock politico per la nascita della nuova formazione, e con sondaggi che davano il PDL stabilmente intorno al 30%, non aveva senso attaccare Fini e dargli visibilità, dunque consenso.

Durante il mese successivo abbiamo assistito a una grande esposizione mediatica dei colonnelli di FLI (Bocchino, Granata, Della Vedova, Briguglio, Urso, lo stesso Barbareschi) e la sostanziale assenza di Fini: si serravano i ranghi in vista del voto del 14 dicembre. Progressivamente si è però compreso che Berlusconi si sarebbe salvato e così, pian pianino, il profilo complessivo di Futuro e Libertà è andato via via ammorbidendosi.

Dopo la fiducia dei 314 abbiamo assistito a un vero e proprio black-out. Fini e gli altri sono scomparsi dalla scena politica e mediatica italiana, vuoi perché sconfitti, vuoi perché Berlusconi non aveva alcun interesse a dar loro un palco da cui parlare. A quel punto FLI è andato verso il terzo polo: una prospettiva che ha causato forti mal di pancia a moltissimi elettori di centro-destra che guardavano con favore a una rifondazione di quella parte di mondo politico. La conseguenza: un’altra perdita di consensi.

Il punto più basso di questa parabola è stata forse l’ospitata di Italo Bocchino a Kalispera da Signorini: da pericoloso e giovane capopopolo a cuoco messo in un angolo. Nelle ultime settimane Fini è tornato di moda perché bisognava compensare lo scandalo per il Bunga-gate. E così si è tornati a parlare della casa di Montecarlo mentre la Procura di Milano trasmetteva la seconda parte delle intercettazioni sulle notti di Arcore. E i colonnelli sono ritornati tutti in TV. Vedremo se e quanto ci resteranno.

Dipende tutto da Berlusconi, anche il futuro di Futuro e Libertà.