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Falla in un oleodotto in Alaska: rischio speculazioni per i prezzi della benzina

Probabili nuovi rincari in vista per gli automobilisti (e non solo) di tutto il mondo. Le quotazioni del petrolio in avvio della settimana hanno infatti puntato verso l’alto. I future sul Brent sui mercati asiatici hanno superato i 94 dollari al barile, mentre quelli sul circuito elettronico a New York hanno guadagnato quasi un dollaro, a più di 89 dollari al barile. E secondo vari analisti, potrebbero schizzare ancora più in alto.

Ad alimentare i rialzi, fra le altre cose, è la notizia, passata un po’ sotto silenzio nel fine settimana, della chiusura di un oleodotto dell’Alaska che fornisce circa il 15% della capacità prodotta dagli Stati Uniti. Lo stop al Trans-Alaska Pipeline System (Taps), così si chiama il condotto che parte da Prudhoe Bay e raggiunge il porto di Valdez, è stato causato da una perdita di petrolio. Una falla che sarebbe stata riparata, secondo la compagnia che gestisce l’oleodotto, Alyeska Pipeline Service, contatta dall’agenzia di stampa Bloomberg.

Alyeska è controllata dai big del petrolio BP (con circa il 47%), ConocoPhillips (28%), Exxon Mobil (20%) e Koch Industries. Tutte compagnie che estraggono nella zona e la cui capacità, per questo motivo è stata ridotta al 5%.

La fuoriuscita non avrebbe provocato danni ambientali, stando alle prime notizie, ma non si sa quando la situazione potrà tornare alla normalità. Ma questo avvenimento sta creando incertezza sui mercati internazionali. E ai mercati questo non piace. O meglio, piace eccome, ma agli speculatori.

Il mercato non aspetta altro che occasioni di questo genere per fare aggiustamenti al rialzo – spiega al fattoquotidiano.it Davide Tabarelli, direttore di Nomisma Energia – in un momento in cui per ragioni di stagione la domanda è forte e c’è nervosismo. L’impatto sui prezzi e un aggiustamento al rialzo ci sarà, bisognerà vedere anche quanto durerà questa chiusura. Si tratta di una pipeline che trasporta di media intorno agli 0,6 milioni di barili”.

“C’è un alto livello di incertezza”, ha commentato Stephen Schork, presidente della casa di analisi Shorck Group in un report: “ma non crediamo che ciò sia abbastanza per spingere il crude oltre la barriera dei 100 dollari. Le raffinerie che dipendono dal petrolio del Taps hanno infatti varie settimane di capacità di riserva.”

Meno preoccupato Ben Westmore, economista della National Australia Bank: “L’effetto di guasti di questo genere è incorporato nei prezzi, ma gli operatori sono un po’ più attenti su questi versanti di quanto non lo fossero sei mesi fa”. Secondo JP Morgan si tratta di un incidente minore, ma le preoccupazioni restano. Tanto che Societé Generale ha ipotizzato che i raffinatori della costa ovest potrebbero dover comprare crude da Oman e Russia per supplire a eventuali mancanze.

“Prudhoe Bay – aggiunge l’analista – è uno dei giacimenti storici di Bp e sulla pipeline, che corre tutta in superficie per circa 1500 Km, alla mercé delle intemperie, gli incidenti ogni tanto capitano. Non è però nulla di paragonabile al pozzo Macondo, anche perché in questi casi le valvole e tutti i sistemi di sicurezza vengono chiusi subito, cosa che BP ha fatto immediatamente. La compagnia dopo il golfo del Messico su queste cose sta all’erta”. Gli incidenti in effetti capitano abbastanza sulla linea. L’ultimo quest’estate.

“Per British Petroleum, in particolare, è molto importante riportare la situazione alla normalità al più presto” ha detto invece a Reuters Hannes Loacker, analista di Raiffaisen Bank International.

La compagnia petrolifera inglese non ha accusato particolari contraccolpi in Borsa. Nella prima giornata della settimana ha chiuso sulla borsa di Londra con una perdita inferiore al 2%, mentre martedì ha ricominciato a guadagnare, in linea con l’indice Stoxx europeo di settore e con le altre compagnie. A guidare i rialzi, tra l’altro, proprio il rialzo del petrolio.