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Media & Regime

“Michele Santoro, censura bulgara” dal libro “Regime” (di Gomez e Travaglio)

Da “Regime” di Peter Gomez e Marco Travaglio (Bur edizioni, 2004)

Michele Santoro, censura bulgara

La verità non trionfa mai,
ma i suoi oppositori
soccombono sempre.
James Clerk Maxwell

Michele Santoro da Salerno, classe 1951, è stato cacciato dalla Rai due volte. La prima dalla Rai dell’Ulivo, sotto la presidenza di Enzo Siciliano, al grido di «Michele chi?». Lui, essendo il Cavaliere all’opposizione e destinato – si pensava – a rapida estinzione, passò a Mediaset. La seconda fu cacciato dalla Rai del Polo, per ordine espresso del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con lo stesso capo d’imputazione di Biagi e Luttazzi: «uso criminoso della televisione pubblica» durante la campagna elettorale del 2001 (quella trionfalmente vinta da Berlusconi medesimo). Questa volta, però, non trovò un altro posto di lavoro. Perché, nella Televisione Unica, un altro posto non c’è.

Santoro lavora in Rai dal 1982, dopo un’esperienza di giornalista e direttore alla «Voce della Campania». Ma il grande pubblico comincia a conoscerlo dal 1986, quando al Tg3 di Sandro Curzi s’inventa un programma di approfondimento in seconda serata: Samarcanda. Il primo talk show a dare volto e voce alla «piazza», cioè alla società civile, anticipando la grande stagione della primavera di Palermo e di Mani Pulite. Per la prima volta il conduttore resta in piedi e si aggira per lo studio dialogando con ospiti e inviati collegati da un maxischermo. Un format tutto nuovo, che la Bbc chiederà di riprodurre. «Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda». Un successone. Rai3, partita al 2%, raggiunge il 15. Samarcanda anche il 30. Nel 1994 diventa Il rosso e il nero e nel ’95 Temporeale. Nascono una squadra e una scuola di giornalisti e reporter d’avanguardia, in testa Sandro Ruotolo e Riccardo Iacona. Nel 1996 il gruppo si trasferisce in blocco a Mediaset, con Moby Dick. Nel 1999 torna in Rai sotto la nuova gestione del presidente Zaccaria e del direttore generale Pierluigi Celli. La proposta economica è nettamente inferiore agli stipendi Mediaset. Ma per Santoro alla corte del Cavaliere l’aria s’è fatta irrespirabile. Soprattutto dopo una puntata sulla mafia e Dell’Utri (che incappò in un clamoroso lapsus freudiano: «La verità è che io sono un mafioso… cioè, volevo dire, io sono un siciliano…»). Ma nemmeno i vertici del Pds lo amano granché, soprattutto dopo una puntata dal ponte di Belgrado contro i bombardamenti ordinati dal governo D’Alema.

Il contratto che firma con la Rai il 14 aprile ’99 prevede la sua «stabile utilizzazione, a tempo indeterminato, come realizzatore e conduttore di programmi televisivi di approfondimento dell’informazione di attualità in prima serata e di reportage in seconda serata, con cadenza settimanale, inseriti nei palinsesti di Rai1 da settembre a maggio». Con la qualifica di «direttore giornalistico ad personam», Santoro dipende direttamente dal direttore generale e dovrà coordinarsi col direttore di rete. Farà parte della Divisione Uno (che comprende Rai1 e Rai2) e si avvarrà di quattro colleghi assunti anch’essi a tempo indeterminato (Ruotolo, Iacona, Corrado Formigli e Alessandro Renna), di altri due già in forza alla Rai (Maria Cuffaro e Alessandro Gaeta) e di trenta fra giornalisti, registi e tecnici a contratto annuale.

Nel 2000 gira l’Italia sotto il tendone di Circus. Va in onda su Rai1, ma soltanto una volta al mese. Nella rete diretta dal berlusconiano Agostino Saccà, lo tollerano appena. Dà ombra a Bruno Vespa, passato da una prima serata a quattro seconde serate settimanali. A fine stagione, con Il raggio verde, trasloca su Rai2. Ma anche lì è figlio di un dio minore: lo relegano al venerdì, l’unica sera lasciata libera dal tracimante Vespa (che non tollera concorrenti nemmeno sulle altre reti), la meno indicata per l’attualità e la più insidiosa per gli ascolti. Eppure il programma raccoglierà uno share medio del 18%: il più alto fra quelli dei programmi d’informazione in prima serata.

Guerra preventiva

E’ la stagione delle elezioni politiche, dell’annunciato ritorno al potere di Berlusconi. La lunga campagna elettorale è già nell’aria fin dalla prima puntata, il 3 novembre 2000, quando Il raggio verde apre i battenti. Santoro ingaggia due opinionisti fissi, il ciellino-berlusconiano Antonio Socci, editorialista del «Giornale», e il direttore del «manifesto» Riccardo Barenghi. Ma la coppia scoppia subito dopo la prima puntata, che mette a confronto l’ex premier D’Alema e il futuro ministro Tremonti. Socci se ne va sbattendo la porta e accusando il programma di faziosità. Nessuno capisce di che stia parlando, visto che quella sera non è accaduto nulla di eclatante, ospiti e opinionisti hanno potuto esprimere liberamente le proprie idee. Socci, il 5 novembre, tenta di spiegare la sua mossa sul «Giornale»: «Era diventata per me insopportabile la faziosità dei servizi e dell’impostazione della puntata». Santoro gli risponde con una profezia: «Caro Socci, sono sicuro che sei sul punto di conquistare una qualche Parigi. E Parigi val bene una messa». L’altro nega sdegnato: «Sono uno scribacchino senza programmi in tv (è questa la Parigi che tanto ti affanna?), senza cariche e senza poltrone e non mi sento sacrificato: ho la libertà e questo mi basta». Poi definisce Il raggio verde «un agguato con una tesi precostituita e a senso unico, bombardata da lunghi servizi, e un dibattito tutto orientato». Senza saperlo, sta descrivendo il suo futuro programma, Excalibur, che prenderà il posto proprio di Santoro. La sua piccola, piccolissima Parigi.

Quelli di Socci, in realtà, sono i primi fuochi di una campagna studiata a tavolino per squalificare il programma di Santoro, accusandolo genericamente di «faziosità», anche se ha sempre dato voce a tutte le voci. Soprattutto a quelle minoritarie o addirittura spente nel resto del panorama televisivo. Ma il Polo cerca la provocazione a tutti i costi. Il 24 febbraio 2001 Il raggio verde ospita Elio Vito, vicepresidente dei deputati azzurri, e Francesco Rutelli per parlare di conflitto d’interessi. Per tutta la puntata, appena Rutelli tenta di dire qualcosa, Vito lo interrompe e lo sommerge con un torrente di parole. Santoro sbotta: «Prendo atto che Paolo Bonaiuti, portavoce di Berlusconi, ci ha mandato una persona che fa di tutto per impedirci di affrontare l’argomento della trasmissione. è una cosa lucidamente programmata e questo è insopportabile». Ma Vito continua a interrompere, a commentare, a tracimare, non si spegne mai. «è una provocazione» lo zittisce Santoro «onorevole Vito, lei fa parte di una forza politica che si richiama alla libertà, ma poi non rispetta la libertà di parola. In tanti anni non mi è mai capitato un parlamentare che si è comportato come lei».

I piagnistei del Polo contro la «tv dell’Ulivo» non hanno alcun fondamento, anzi già allora il centrodestra occupa il video molto più del centrosinistra. Fra novembre 2000 e gennaio 2001, il Tg1 ha dedicato 3 ore e 39 minuti al Polo contro 3 ore e 41 minuti all’Ulivo; al Tg2 il rapporto destra-sinistra è stato di 4 ore e 28 minuti contro 3 ore e 12 minuti; al Tg3, 4 ore e 13 minuti contro 5 ore e 3 minuti; al Tg4, 9 ore e 47 minuti contro 2 ore e 26 minuti; al Tg5 (quello di «sinistra»), 2 ore e 34 minuti contro 1 ora e 23 minuti; a Studio Aperto, 1 ora e 19 minuti contro 1 ora e 4 minuti.

La campagna elettorale si trascina sonnacchiosa fino al 14 marzo, giorno del caso Satyricon. Due sere dopo Il raggio verde ospita in studio, per discuterne, Antonio Di Pietro, il giornalista francese Fabrizio Calvi (autore dell’ultima intervista a Borsellino su Mangano, Dell’Utri e Berlusconi), il condirettore del «Giornale» e candidato forzista Paolo Guzzanti, i giornalisti Andrea Purgatori, Felice Cavallaro e Roberto Morrione. Quest’ultimo, direttore di Rai News 24, ha scoperto e trasmesso l’intervista di Borsellino, dopo averla offerta invano a tg e programmi di approfondimento. L’unico che l’avrebbe trasmessa volentieri era Santoro, ma quando la cassetta saltò fuori, nel maggio 2000, aveva già chiuso la trasmissione. La Casa delle Libertà, che ha appena annunciato l’Aventino televisivo, non invia in studio nessun rappresentante, ma le sue posizioni sono comunque rappresentate da Guzzanti. I berluscones sostengono che l’intervista di Borsellino è stata manipolata. Così, per completezza, Santoro manda in onda anche le parti tagliate nel montaggio francese, ma riportate nella versione integrale (purtroppo soltanto scritta) pubblicata dall’«Espresso» nel 1994. Così è chiaro a tutti che il montaggio non ha alterato il senso del discorso del giudice: Mangano era un mafioso, «testa di ponte di Cosa Nostra al Nord» per il traffico di droga e il riciclaggio del denaro sporco; quando parlava al telefono di «cavalli» (come anche nella famosa telefonata con Dell’Utri intercettata nel 1980) si riferiva di solito a partite di droga; la Procura di Palermo, nell’estate ’92, fra le stragi di Capaci e via d’Amelio, indagava sui rapporti fra Mangano, Berlusconi e Dell’Utri. Aggirando l’Aventino da lui stesso proclamato, il Cavaliere non si trattiene e telefona in diretta. Santoro fa presente di averlo invitato in studio, inutilmente. Berlusconi lo zittisce con protervia.

Berlusconi: Complimenti per questi processi in diretta, siamo allibiti per come la Rai usa le cosiddette trasmissioni di approfondimento politico, specialmente in campagna elettorale…
Santoro: Vuole fare un dibattito con me? Dobbiamo andare da Costanzo, in territorio neutro…
Berlusconi: Vorrei solo che lei mi lasciasse dire due cose, altrimenti posso anche mettere giù subito…
Santoro: Sì, ma sul fatto. E senza insultarci, perché prima lei dice ai suoi di non venire, poi vuole parlare senza rimuovere il vincolo politico…
Berlusconi: Io non intervengo da politico. Noi come politici continueremo a non intervenire nelle trasmissioni della Rai finché non saremo garantiti per non dover cadere in trasmissioni trappola come quella…
Santoro: Allora mi dispiace, ma chiudo il collegamento telefonico… Non si può accettare questa sua posizione. Se lei non rimuove il vincolo, non può parlare stasera.
Berlusconi: Santoro, lei è un dipendente del servizio pubblico, si contenga!
Santoro: Io sono un dipendente del servizio pubblico, non sono un suo dipendente, Berlusconi!
Berlusconi: Ma come imprenditore si è detto stasera che io dovrei dare delle spiegazioni sulle società…
Santoro: Allora vuole parlare per fatto personale? Va bene, dica…

Il Cavaliere approfitta del collegamento per piazzare un paio di bugie delle sue. Nega di essere mai stato convocato dai giudici al processo Dell’Utri («Non è assolutamente vero, non mi hanno mai chiamato»), mentre invece, più volte convocato, ha sempre rinviato l’appuntamento in tribunale per motivi elettorali. Quanto poi alle società off-shore del gruppo Fininvest, di cui Di Pietro ha chiesto conto citando l’inchiesta milanese per falso in bilancio, Berlusconi sostiene: «Non ci sono stati nomi di copertura né ricorso a società estere. Tutto si è svolto in Italia alla luce del sole con operazioni sulle quali sono state pagate tante tasse». Sarà lui stesso a sbugiardarsi, il 3 maggio, incontrando gli industriali romani: «Le società estere sono cose assolutamente legittime che il mio gruppo ha poi abbandonato, ma che in un certo momento, affidandosi alla responsabilità di chi gestiva il sistema estero, si facevano perché si doveva trovare un modo in Europa per pagare tasse più convenienti».

Santoro pagherà cara quella risposta ferma al nuovo padrone d’Italia. L’indomani, mentre l’Auditel comunica che oltre 6 milioni di italiani (23,89 di share) hanno visto Il raggio verde, primo programma della prima serata, parte l’attacco della Cdl che accusa il conduttore di violare la par condicio e di parteggiare per l’Ulivo. Un’accusa ridicola per tre motivi. 1) è stato il Polo a impedire ai suoi uomini di partecipare al programma, nonostante i reiterati inviti. 2) Mancano due mesi alle elezioni e la campagna elettorale scatterà, con le sue regole, soltanto un mese prima del 13 maggio, con i trenta giorni «protetti» decisi il 23 marzo dalla Vigilanza e dall’Authority. 3) Il raggio verde – come ribadirà l’Authority – non è un programma di comunicazione politica, una tribuna elettorale, ma una trasmissione di informazione e approfondimento che deve seguire l’attualità, le notizie. E la notizia del giorno, per molti giorni, è questa: la polemica su Satyricon, l’attacco del centrodestra alla Rai, le inchieste sui rapporti fra Berlusconi, Dell’Utri e Cosa Nostra. Per oltre un mese i giornali non parlano d’altro e così fa Santoro in quattro puntate: una sul caso Mangano-Dell’Utri (quella con la telefonata di Berlusconi), una su satira e censura, una sulla campagna elettorale, una con Dell’Utri ospite.