Giustizia & Impunità

“Mio fratello era una roccia”

Mimmo Beneventano

Probabilmente, per fargli un’intervista, oggi sarebbe stato necessario andarlo a trovare al presidio di Terzigno. Sarebbe stato sicuramente lì a difendere il Vesuvio dalla discarica e dai clan. Se fosse ancora vivo.

Avrebbe partecipato a questa e a tante altre battaglie Mimmo Beneventano, medico e consigliere comunale del Partito comunista a Ottaviano, in quegli anni cuore dell’impero criminale di Raffaele Cutolo. Fu proprio il boss della Nuova camorra organizzata a ordinarne l’omicidio.

Il 7 novembre 2010 saranno passati esattamente trent’anni dalla sua morte.

Eppure anche in questa protesta c’è qualcosa del suo impegno. Cava Sari a Terzigno è infatti di proprietà degli eredi di Salvatore La Marca, sindaco di Ottaviano negli anni ’80 e braccio politico di Cutolo. È contro La Marca e la cupola camorrista, di cui il politico socialdemocratico faceva parte, che Mimmo Beneventano ha combattuto per anni, fino a quando fu ammazzato quel giorno di trent’anni fa alle 7 di mattina, mentre stavano andando a lavorare in ospedale.

Era stato eletto consigliere comunale nel 1975, con una valanga di preferenza. A Ottaviano Beneventano era un punto di riferimento. Insieme a Pasquale Cappuccio, consigliere del Psi ucciso dalla camorra nel 1978, denunciò le collusioni tra politica e camorra, il sistema di controllo criminale degli appalti pubblici.  Si opposero pubblicamente all’affidamento del servizio di nettezza urbana a una ditta del fratello di Raffele Cutolo.

Beneventano condusse una lotta senza paura contro tutti i tentativi di cementificazione del Vesuvio: dal campo da golf alle villette abusive. «Io lotto e mi ribello/Mi sono votato ad un suicidio sociale/ Non nella droga, come molti, troverò il rimedio per un mondo più giusto. Non parlo per me, son cosi poca cosa/ Grido per coloro che non han più voce perché l’han/ Persa urlando e piangendo/ O per quelli che hanno dimenticato di averla», scrisse in una delle sue poesie.

«In quegli anni a Ottaviano», spiega Isaia Sales, docente di Storia della criminalità mafiosa all’Università di Napoli e amico di Beneventano, «Cutolo aveva instaurato una vera e propria dittatura criminale. Ma anche se il boss pretendeva che non potesse esprimersi dissenso verso il modo in cui La Marca gestiva i loro affari, Mimmo aveva il coraggio di parlare nei consigli comunali e nei comizi».

La sorella Rosalba Beneventano insieme alla Fondazione Polis, che raggruppa i familiari delle vittime di mafie, si batte per tenerne vivo il ricordo: «Ho ancora in testa le grida di mia madre, che mi svegliarono mentre stavo a letto. Anche quando l’ho visto steso lì per strada sanguinante, pensavo che ce l’avrebbe fatta. Mio fratello era una roccia, una delle persone più carismatiche che io abbia conosciuto».

Giorgio Mottola

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