Società

Obama e le ombre americane

Dopo il voto americano e il brusco cambiamento di scenario in quel Paese ben governato e bene informato, restano alcune riflessioni che non riguardano solo l’ America. Provo ad elencarle. Ho detto “Paese ben governato” è questo è un fatto che neppure il più aggressivo nemico di Obama negherebbe. Anzi l’ opposizione senza quartiere dei repubblicani nasce proprio da questa constatazione: interromperlo subito. Se lo lasciamo fare, Obama ci cambia il Paese, dalle banche agli ospedali. Ma proprio questo la vicenda elettorale dimostra. Governare bene non basta, se il Governo appare freddo e assorto. La folla che ti ha eletto non scioglie le fila e vuole sapere che cosa stai facendo e perché. La solitudine pesa, disorienta e porta vendetta.

Gli Stati Uniti sono certo il Paese meglio informato del mondo, ottimi quotidiani, buone televisioni, commentatori implacabili che – quando sono di parte – ne fanno una bandiera, lo dichiarano e lo ripetono per evitare malintesi. Come i buoni avvocati devono presentare documenti ineccepibili ma si sa che sono svincolati da verità “super partes” nel commento. Nessuno perdonerebbe da una parte o dall’ altra, il manipolatore “ che si finge indipendente”. Ma la buona informazione non ferma il forte vento dell’ opinione e dell’ umore popolare. Il merito è di chi lo sa sollevare. La colpa di chi non lo vede in tempo.
Qui entra in campo il modo in cui si fa opposizione. Negli Stati Uniti è cambiato radicalmente dai tempi della guerra fredda, ma anche dalla grande tradizione americana in cui la Repubblica prevale sulle parti e si esprime, al di là delle contrapposizioni politiche, nella semplice, celebre frase “we, the people” “noi, gli americani”.
Adesso, dai tempi di Reagan, dei due Bush e negli otto anni di incessante opposizione a Clinton (che hanno incluso processi e denunce penali) il Paese America, già simbolo della celebrata e patriottica politica “bipartisan”, è “noi” e “voi”, anzi “noi” contro “voi”, sempre e senza alcuna emergenza nazionale e internazionale in grado di fermare o limitare la spaccatura.

Stranamente le notizie dagli Stati Uniti viaggiano poco e male verso l’ Italia. Altrimenti si sarebbe saputo che neppure un dramma come l’ 11 settembre ha riportato l’ America alla politica come lavoro insieme per quell’ unico padrone di casa  che sono i cittadini. O almeno l’ abbraccio dopo il violentissimo attacco è durato poco.
George W. Bush ha diviso l’ America non solo sulla guerra, ma sulla privatizzazione della guerra (dagli appalti all’ esercito di guardie private, un misto impossibile di patriottismo di altri tempi, di affari privati e di spionaggio interno, americani contro americani, come si racconta nel film “ Caccia alla spia”).
Obama ha scosso e sorpreso l’ America prendendo la guida della parte umiliata e offesa: poveri, malati, minoranze, ma anche fabbriche senza lavoro, lavoro senza il credito delle banche, soldati sperduti in guerre abbandonate dai media e dall’ opinione pubblica, donne umiliate, ragazzi imprigionati dal non futuro. Per questo dietro di lui si è formata una vasta maggioranza.

La lotta di Obama è stata dura e senza quartiere, alimentata fisicamente e finanziariamente dal basso. Ha vinto bene, ha vinto molto. È durato poco. Contro di lui si è organizzata e poi scatenata la vendetta repubblicana. Organizzata bene, perché masse di poveri hanno marciato contro se stessi , contro l’ unica legge che fra poco (1 gennaio 2011) avrebbe cominciato a garantire il diritto alle cure mediche che (36 milioni di essi) finora non hanno mai avuto ne tutto ne in parte e neppure nei casi più gravi. Contro Obama si è riversato un mare di ricchezza americana, nella più strana alleanza: danaro dai ricchi e voto, cattivo, febbrile, appassionato dei poveri. Questo è stato il Tea Party: una rivoluzione borbonica a sostegno dei privilegi, anti-intellettuale, anti-elite, contro il futuro visto come minaccia. “Elite” è aumentare le tasse ai redditi alti (spesso immensamente alti) e abbassarle a i poveri che vivono al confine fra lavoro che non dura, lavoro che non paga, e paga finita per sempre a metà della vita. “Intellettuale” è aprire a ciò che non si conosce (il futuro) e che dunque nasconde un pericolo. Perciò è stata mobilitata la paura. Comincia qui la lezione americana. La paura attanaglia coloro che si sentono soli perché il leader, anche se parla bene, anche se è carismatico, non parla a me. Come ha scritto Jonathan Alter: “la logica piace, ma è l’ emozione che decide il voto “. Le geniali trovate del Tea Party sono stati febbre, concitazione, antagonismo senza tregua. Dunque o di qua o di la, senza appello, che si può descrivere così: o stai dentro al caldo, in un diluvio di emozioni. Oppure fuori al freddo, logici, razionali, da soli. L’ esito ci dice qual’ è stata la scelta.

Una volta lanciata l’ offensiva delle emozioni, le immagini e le aspettative tradizionali si rompono. Per esempio, il Tea Party è stata una cavalcata vendicativa di più anziani contro più giovani (è già stato accertato che il voto a destra il 2 novembre è stato un voto nettamente più anziano) di bianchi contro minoranze, di uomini contro donne, di donne contro se stesse. Nel calore emotivo creato dal Tea Party si sono affollati tanti cittadini solitari e poveri dell’ America interna insieme alla destra più estrema, sia di mercato sia di visione della vita, che l’ America abbia mai conosciuto.
Fuori hanno resistito solo le roccaforti di New York e San Francisco – Los Angeles, che funzionano come gruppi generatori autonomi e irreversibilmente anti-destra anche se manca un messaggio da un punto di guida.
Il messaggio è mancato perché Obama, mentre la destra stava lanciando la sua più impetuosa offensiva, avvelenava i pozzi dell’ informazione, e creava il calore e l’ emozione che ha attratto i bianchi poveri a votare contro se stessi, Obama stava facendo il buon presidente di tutti, cedeva dove pensava di fare la pace, offriva miti compromessi sui punti cruciali del suo programma   (la guerra in Afghanistan) su cui si aspettavano da lui decisioni difficili ma precise. I giovani e i neri che lo hanno portato alla Casa Bianca non lo hanno votato più. Barack Obama ha perduto in solitudine le “elezioni di medio termine” perché ha lasciato sola e disorientata la parte nuova e giovane del Paese.

È importante notare che tutta l’ attenzione degli esperti e anche di guru che disegnano le strategie dei partiti americani, ha puntato sull’ età degli elettori, non su quella degli eletti. Vediamo. Il Tea Party ha giocato anziano. Gli premeva gettare in campo la paura e spingere al nuovo partito Repubblicano come rifugio. Il partito di Obama aveva dalla sua le carte del popolo giovane, delle donne, dei neri e non le ha giocate. Ha perso a causa di una vasta astensione.
Ma il paesaggio americano del dopo 2 novembre ci mostra la caduta di molti recenti taboo sul voto, forse perché questi taboo non sono mai stati tipici di una grande democrazia consolidata. Ad esempio la nuova Camera Dei Deputati a maggioranza conservatrice è più anziana della Camera “progressista” che sta per sciogliersi.
Il nuovo Presidente  della Camera, John Boenner, ha 60 anni ed è stato rieletto 18 volte. Il nuovo numero uno democratico al Senato, Harry Reid, ha celebrato insieme la rielezione e il settantesimo compleanno.

Come si vede manca nella cultura politica americana, sia la persuasione che il dato anagrafico sia in se un merito, sia l’ ossessione di far sgombrare il campo da chi è stato alla Camera o al Senato più di due volte. Lo scontro è di idee, violentissimo. E sarà questo, e non il foglio di via dell’ età, a segnare l’ America, vita politica e vita di tutti, nei prossimi anni.