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Irlanda del nord, presunti terroristi torturati per confessare. Commissione riesamina i casi

Si tratta della Commissione di Revisione Casi Criminali. Finora sono arrivate richieste per 200 casi. Già 26 su 24 sono stati modificati. Gli stesis agenti di allora confermano i pestaggi per ottenere confessioni

“Mi bruciarono con un mozzicone di sigaretta, prima sulla guancia e poi sul mento. Poi diedero fuoco a una lettera e la misero all’altezza dei miei testicoli, abbastanza vicino perchè sentissi il calore.” Queste le testimonianze di cittadini nord-irlandesi sulle torture inferte nelle caserme della polizia durante il trentennio di disordini in Ulster. Adesso, però, centinaia di uomini e donne ritenute colpevoli di reati di stampo terroristico in Irlanda del Nord durante il trentennio dei cosiddetti “Troubles” potrebbero vedere i loro casi riaperti, sulla base di dubbi fondati che la polizia estorcesse confessioni agli arrestati sotto tortura.

La Commissione di Revisione Casi Criminali (in inglese Criminal Cases Review Commission, CCRC), istituto che si occupa del riesame dei casi, ha ricevuto richieste da più di 200 irlandesi che affermano di aver firmato confessioni dopo aver ricevuto pesanti percosse e ogni genere di tortura dalle forze dell’ordine dell’Ulster, il controverso Royal Ulster Constabulary (RUC). La corte di Belfast ha finora riaperto 26 casi, modificando 24 iniziali sentenze di colpevolezza. Gli avvocati delle famiglie degli accusati prevedono che, nei prossimi mesi, molte altre persone si faranno avanti da tutte le sei province nord-irlandesi.

Secondo un’inchiesta del Guardian, l’uso della violenza era comune durante gli interrogatori di sospetti terroristi o fiancheggiatori dell’Ira. Il quotidiano britannico ha raccolto le testimonianze di ex ufficiali del Ruc (rimasti anonimi), i quali hanno raccontato come gli interrogati venissero sistematicamente picchiati fino a quando non confessavano. Anche se in molti casi non c’era niente da confessare. Un detective in pensione ha detto: “E’ tortura quando colpisci qualcuno in viso tante volte? E se lo prendi a calci nelle palle, è tortura?”

Charlie McMenamin aveva 16 anni quando, nel 1978, fu arrestato e interrogato su un caso di omicidio. Ridicolizzato, pestato e impaurito, dopo alcuni interrogatori molto brutali si tagliò le vene, ma sopravvisse. “Quando tornai da loro – ha detto – mi insultarono e mi ridicolizzarono. Pensavano che fosse divertente che mi fossi tagliato i polsi.” Charlie passò tre anni in carcere, al termine dei quali iniziò, e continua tuttora, una campagna di denuncia contro le violenze delle forze di polizia.

Le moltissime condanne, sotto confessione e quasi sempre in assenza di altri elementi probatori, erano rese possibili dal sistema di tribunali speciali attivato all’apice dei disordini nell’isola, nel 1973, ma mai soppresso fino al 2007. Queste corti, chiamate Diplock, vennero costituite per combattere le frequenti intimidazioni di giurati e gli omicidi di testimoni che si verificavano per molti processi. Le Diplock erano piccoli tribunali senza giuria, all’interno dei quali il giudice poteva condannare un imputato anche solo sulla base di una confessione. Nel caso in cui l’imputato sostenesse di aver subito maltrattamenti, stava solamente a lui il compito di provarlo. Il che era quasi impossibile, dato il mutismo delle forze dell’ordine e la volontà generale di mettere tutto a tacere.

“Gli interrogati venivano ripetutamente colpiti, in viso e in altre parti del corpo,” ha detto uno degli ex ufficiali intervistati. “Non c’era niente di ufficiale sull’uso della forza, non ci addestravano, ma alcuni di noi erano noti per le loro maniere forti. In alcune situazioni, venivano chiamati agli interrogatori proprio per questo.”

Eamonn McDermott fu arrestato nel 1977 a Derry e condannato per l’omicidio di un poliziotto, sulla base di una confessione. McDermott scontò 15 anni di carcere prima che la sentenza venisse annullata dal Ccrc. Aveva sempre sostenuto di aver firmato quella confessione a forza di botte: “Eri terrorizzato da loro, volevi solo farli smettere, e avresti detto qualunque cosa purché la smettessero.” Il livello di tensione nella regione si abbassò durante gli anni ’80 e ’90 ma, afferma il Guardian, le violenze continuarono a verificarsi.

All’età di 17 anni, Damien Austin fu arrestato e interrogato al centro di detenzione di Castlereagh, Belfast, in relazione ad un recente attacco terroristico dell’IRA. “Mi bruciarono con un mozzicone di sigaretta, prima sulla guancia e poi sul mento,” ha raccontato al giornalista Ian Cobain. “Poi diedero fuoco a una lettera e la misero all’altezza dei miei testicoli, abbastanza vicino perché sentissi il calore.”

Amnesty International, che stava seguendo la questione delle violazioni dei diritti umani in Irlanda del Nord, emise un comunicato ufficiale in cui chiedeva un’azione urgente nel caso Austin. Il ragazzo venne poi visitato dal suo medico di base, in presenza degli ufficiali medici del Ruc: sul suo corpo erano presenti bruciature, lividi ed evidenti segni di pestaggio. Damien Austin denunciò la polizia, e si raggiunse un accordo legale.

Anche Tommy McKearney, comandante dell’Ira negli anni ’70, venne interrogato a Castlereagh. Incarcerato per l’omicidio di un soldato, scontò una pena di 16 anni. Nell’1981 era tra i prigionieri che, insieme a Bobby Sands, fecero lo sciopero della fame per denunciare le violenze del carcere ed essere riconosciuti come prigionieri politici.

Intervistato dal Guardian sulle torture alla popolazione, McKearney ha detto: “Torturare prigionieri non serve e non è efficace perché, nel breve termine, provoca solo paura e rabbia. A lungo termine invece, le torture fanno crescere una tremenda dose di odio verso chi ha torturato e umiliato. Questo odio non va più via; rimane negli animi delle persone per decenni, per intere generazioni.”

di Davide Ghilotti