Politica

Il nobel della provetta. E il senso del limite

Evviva, il vecchio Edwards ce l’ha fatta. Ha ragione Boncinelli che, sul Corriere di martedì, manda a spannocchiare i censori vaticani: il pioniere della fecondazione in vitro non ha superato “un livello etico”, ha curato un difetto, “aiutando, e non danneggiando, milioni di persone”. Nessuno più di lui ha contribuito a disincagliare la riproduzione umana dalle secche dell’infertilità. Ha innaffiato un giardino inaridito, ha fatto sbocciare fiori che mai avrebbero visto la luce. Altro che condanne e scomuniche, dovrebbero farlo presidente della Pontificia Accademia per la vita.

Tutt’al più si potrebbe malignare sulla tempistica: perché premiarlo solo adesso, a 85 anni, quando la sua scoperta risale agli anni Settanta del secolo scorso? Non sarà che quei mangiapreti del Karolinska hanno voluto mandare un avvertimento al Papa dopo la sua visita in Gran Bretagna? “Il mondo ha bisogno di buoni scienziati, ma una prospettiva scientifica diventa pericolosamente angusta, se ignora la dimensione etica e religiosa della vita”, aveva detto Benedetto XVI agli studenti cattolici di Londra. Ah sì? Tu criminalizzi la scienza? E allora, tiè! Per tutta risposta noi incoroniamo il più diabolico, il più blasfemo degli scienziati, quello che ha osato manomettere il sacro congegno della vita nascente.

Ricordo di averlo incontrato, il professor Edwards, forse venticinque anni fa, nel suo studio di Cambridge. Era già famoso per Louise, la prima figlia della Fivet, e aveva appena pubblicato un libro che faceva il punto sulla tecnica, sulle polemiche che aveva scatenato, sugli spauracchi della clonazione e dell’eugenetica agitati dal clero e dagli ambienti più conservatori. Nell’intervista sfoderò tutto il suo sense of humour britannico, e alle mie (scontate) obiezioni sugli uteri in affitto o prestati, rispose raccontandomi di una famiglia del Galles, dove due sorelle si erano scambiati i bambini: una era fertile, l’altra no, e dopo i primi tre figli, il quarto venne adottato e tirato su come un figlio dalla sorella sterile. “Così si fa nelle campagne inglesi, una soluzione pragmatica e naturale al dramma dell’infecondità. Anche il parroco era al corrente della cosa e chiudeva un occhio. Che differenza c’è tra questo caso e quello di chi dona i propri ovociti o presta l’utero a una familiare che non riesce a restare incinta?”.

Già, che differenza c’è? Forse quella che passa tra un mondo rurale, regolato da una morale secolare e consolidata, e un mondo globale, postindustriale e postmoderno, in cui tutti i codici etici sono saltati. Dal 1978 a oggi la fecondazione assistita ha fatto passi da gigante, ha sfondato le barriere dell’età biologica, ha scardinato i rapporti tra le generazioni. Si sono moltiplicate le banche del seme e le cliniche della fertilità che promettono miracoli. Nulla sembra precluso al desiderio di genitorialità. Ignazio Marino ha detto che dopo il Nobel a Edwards dovremmo riaprire la discussione sulla legge 40. Francamente non lo seguo. Quella legge ignobile e punitiva, scritta sotto dettatura dei vescovi, andava ridiscussa e abrogata comunque, anche se il Nobel lo avessero dato a Eugenia Roccella o a monsignor Sgreccia. In un mondo senza frontiere, leggi proibizionistiche come questa, oltre a impedire la prevenzione delle malattie genetiche e a scoraggiare la ricerca, alimentano solo un turismo procreativo che favorisce le cliniche di Barcellona o di Zurigo.

Niente divieti per legge, dunque. Libertà assoluta di provetta, libertà assoluta di ricerca sulle staminali. La riflessione che si impone è però un’altra. Ora che allievi ed epigoni di Edwards permettono di realizzare i sogni più fantascientifici, di diventare madri a sessant’anni, di scambiarsi gameti e di farsi ingravidare al posto della figlia o della nipote, è giusto, è sensato, è ragionevole farlo? Il concetto di libertà di Stuart Mill, nessun limite se non il possibile danno inferto ad altri, è ancora valido in una società ipertecnologica dove non esistono freni al delirio di onnipotenza dell’uomo e al suo dominio sulla natura? Siamo sicuri che liberismo bioetico (di sinistra) e liberismo economico (di destra) possano marciare su due binari separati? Intorno al mercato della fecondazione assistita si muovono interessi economici corposi. In realtà, l’ho già scritto e lo ripeto, la sinistra dei diritti (anche in campo riproduttivo) spiana la strada alla destra delle libertà. C’è gente che si compra un figlio con la stessa smania consumistica con cui si compra lo yacht o il fuoristrada, o che sfida insieme le leggi della biologia e quelle del fisco. Se non sapremo, laicamente, interrogarci su questi temi, e darci noi stessi dei limiti (non divieti legislativi né condanne o anatemi, ma regole morali e scelte educative razionali), non avremo neppure argomenti per contrastare le ingerenze vaticane.