Politica

Berlusconi prova il format da campagna elettorale

Nel caso di rottura definitiva con i finiani il Cavaliere ha già pronto il discorso. Frasi ad effetto e accuse ai magistrati. Obiettivo: "Cambiare l'architettura costituzionale"

La campagna elettorale di Berlusconi è un format, e quella andata in scena oggi a Milano è stata una prova generale, nel caso la rottura con i finiani si consumi fino in fondo. La tecnica è sempre quella, una griglia di temi e frasi a effetto da portare in giro nei comizi in tutta Italia, con l’immutabile sfondo azzurro e pochi aggiustamenti sui temi dell’attualità.
Innanzitutto c’è una novità: la mafia diventa per la prima volta un punto forte, anzi “una tragedia nazionale”, ha proclamato Berlusconi sul palco del Castello Sforzesco nell’intervento di chiusura della festa nazionale del Pdl. Il governo può vantare “600 blitz e 6.500 presunti mafiosi arrestati”, ma il nodo mafia-politica non è neppure sfiorato.

L’altro tema forte è quello dell’ “eredità“: tutto ciò che non funziona è un lascito dei precedenti governi, escluso naturalmente il suo del 2001-2006, che ha fatto ripartire il Paese dopo la “fermata” degli anni del centrosinistra. Il nostro gigantesco debito pubblico, che impedisce di realizzare le promesse, arriva dai “governi del compromesso storico”, ma per fortuna si è stabilizzato “da quando siamo arrivati noi”. C’è poi il problema dei costi giganteschi della pubblica amministrazione, “eredità della sinistra”.

Oltre all’eredità, l’altro meccanismo infernale è la Costituzione, che assegna al governo “meno poteri rispetto ad altre democrazie occidentali”. E se poi una legge fortunosamente “passa” in Parlamento, i pm la impugnano e la fanno annullare dalla Corte costituzionale, dove “11 giudici sono di sinistra”. Un altro mantra, come quello sul Ponte di Messina: il suo governo ci aveva messo cinque anni a far partire il progetto, “la sinistra ci ha messo cinque minuti per affossarlo”. E se torna l’emergenza spazzatura, “i rifiuti di Napoli hanno un nome: Rosa Russo Iervolino”.

Elencate le avversità, quali sono i successi concreti che il premier rivendicherà un un’eventuale campagna elettorale? La ricostruzione post-terremoto in Abruzzo, dove “non c’è una causa per corruzione che stia in piedi”. Il salvataggio di Alitalia, che “porterà i turisti nelle nostre città d’arte e non in Francia nei Castelli della Loira”, immagine che fa partire il primo coro “Silvio, Silvio!”. La gestione della crisi economica, nella quale “nessuno è stato lasciato solo” da uno “Stato amico dei cittadini”. L’immigrazione, su cui fornisce dati confusi: solo 3.500 sbarchi quest’anno contro “i 29.500 degli anni precedenti”.

Il tendone allestito al Castello Sforzesco è pieno, il ristorante vicino pure, c’è molta gente nei prati circostanti, anche se la stima di 40 mila persone diffusa dalla Questura e ripresa dal ministro Ignazio La Russa appare davvero esagerata. Prima di lui, Maurizio Lupi aveva parlato di “100 pullman” provenienti da tutta Italia. Per scaldare il suo popolo sui temi della giustizia, Berlusconi segue un canovaccio collaudato in cento piazze d’Italia, quello che parte con i pm che per varie ragioni personali si accaniscono contro gli imputati, ricorrendo in appello quando se li vedono assolti, fino all’evergreen della pubblica accusa – anzi, l’“avvocato dell’accusa” – che deve entrare nell’ufficio del giudice “con il cappello in mano”, alla pari con l’avvocato della difesa.

E i finiani? Qui il format è ancora poco efficace. Il Cavaliere dice che nella sua maggioranza “è successo qualcosa di incomprensibile”, che “ha fatto del tutto dimenticare i successi del governo”. Vana l’attesa di una spiegazione sulla frattura con Fini (nome che scatena la solita salva di fragorosi “buuu”), perché il discorso vira subito sulla sinistra che è “la stessa di sempre”, che “ha la sua Rai pagata da tutti”, che è rappresentata dal Pd “diviso su tutto” e preda degli “isterismi di Vendola, Di Pietro, Grillo”. La questione Fini è così sistemata, in un tripudio finale di bandiere azzurre e cori sulle note di “Meno male che Silvio c’è”.

di Mario Portanova