Politica

Le strade di Riace

In questi giorni di tristezza e sgomento per la morte di Angelo Vassallo, ecco una storia positiva e virtuosa che arriva dal Sud. La racconto con le parole dell’amica Chiara Sasso della Rete dei Comuni solidali.

Ad un certo punto, Domenico Lucano, sindaco “pro tempore“, come ama definirsi, non ce l’ha più fatta e ha preso scopa e paletta e si è messo a pulire le stradine di Riace superiore, un agglomerato di case le cui origini medievali sono ancora oggi identificabili nei resti della cinta muraria e nell’intreccio dei vicoli.

Che fai?” chiede una donna anziana vedendolo così impegnato. “Pulisco, oggi arriva un ministro della Repubblica, è la prima volta che un ministro viene da noi”.

Sabato 17 giugno 2007 Paolo Ferrero era atteso per il convegno promosso proprio a Riace dalla Rete dei Comuni Solidali.

C’è sempre, in questi paesi meridionali, una tenda bianca ricamata che separa i rumori che provengono da fuori: pomeriggio afoso. Ci sono sempre fichi d’India lungo strade tortuose che salgono dal mare fino alla parte alta del paese. Ci sono piante di limoni, di arance e ginestre, come in tutto il Mediterraneo. E’ insolita, invece, la storia costruita a Riace.

Io non credo che ci siano delle grandi differenze, sul mio comportamento, sulle cose che faccio ora che sono diventato sindaco, perché è una storia che continua con altre possibilità”. La voce di Domenico Lucano ogni tanto si ferma, sembra cercare le parole, quasi incespica nel racconto. In realtà, proprio attraverso queste brevi pause, riesce a trovare e rovesciare addosso a chi lo ascolta una forza antica.

Ci sono luoghi dove bisogna lasciarsi andare e attraversare dalla magia. Riace è uno di questi, comune di millesettecento abitanti in piena Locride. Basta la parola per sottointendere tutte le difficoltà del mondo in un territorio aspro. Una zona della Calabria che non si è sviluppata economicamente e la mafia trova consenso, dà le risposte che lo Stato avrebbe dovuto dare.

Domenico non se n’è andato, ha deciso di investire con Pina, sua moglie, energie, risorse e passione. Non hanno fatto tanti convegni, seminari o altro, hanno semplicemente deciso in modo molto concreto di rimboccarsi le maniche e lavorare. Sono partiti da un concetto elementare, consapevoli entrambi di viverlo: la comunità. Un luogo che si stava spopolando e invece poteva e doveva invertire la tendenza aprendosi ad altri, diventare luogo di accoglienza per chi, più sfortunato, aveva dovuto lasciare la propria terra. E’ così che nell’antico borgo di Riace superiore, dove le case si sono ripopolate è normale incontrare afgani, curdi, famiglie palestinesi.

L’associazione Città Futura intitolata (non a caso) a don Giuseppe Puglisi, gestisce l’albergo diffuso, così chiamato perché mette a disposizione per i turisti appartamenti confortevoli. L’associazione si occupa dei laboratori di ceramica, tessitura, produzione di olio e marmellate, una fonte di reddito anche per i ragazzi del posto. “Quando abbiamo cominciato” racconta Domenico Lucano, oggi sindaco “sentivamo il bisogno di forze che rispolverassero vecchie usanze culturali della nostra terra, le più autentiche e positive, legate all’accoglienza e all’ospitalità. E’ stato un cammino faticoso ma felice”. Un cammino fatto con Tonino Perna e altri, già impegnati con l’esperienza di Badolato.

Nel 2004, Domenico diventa sindaco di Riace. “E’ stata una combinazione straordinaria vincere le elezioni. Durante le campagne elettorali emergono rancori e tutti vogliono raggiungere posizioni di potere. Sento questa esperienza, questo grosso cambiamento che abbiamo prodotto, molto fragile. Siamo osservati, ma da questo punto di vista non ho paura”. Prima di allora un lungo impegno nell’associazionismo lo aveva portato a vincere una scommessa e far rivivere quello che lui chiama il borgo. Oggi, ripensando a quei momenti, a quella scelta di vita, ne parla come un qualche cosa di unico, una “grande combinazione”. Entrano in contatto due forze diverse.

Domenico è proiettato all’esterno, con la consapevolezza di voler invertire la tendenza dell’emigrazione e portare il ‘mondo’ a Riace. Per farlo, ha bisogno della forza di Pina, un legame ancestrale, capace di riconoscere nelle case, nelle pietre, in ogni gesto, la storia più profonda. Dall’incontro di due sentire diversi, nasce un progetto ambizioso che sarà in grado in pochissimo tempo di ridare vita a Riace.

Gli anni Sessanta sono lontani, allora il borgo era una comunità rurale molto vivace. C’era il senso dell’aiuto reciproco, si condivideva tutto, i bambini venivano guardati da chi non andava a lavorare in campagna, c’era un mescolarsi di vita, gli uni con gli altri. Riace marina non esisteva ancora, la speculazione edilizia a due passi dal mare, con case brutte, spesso non finite, allora non c’era. Finché c’è stata la dimensione comunitaria del mondo dei pastori, il rispetto per l’ambiente era assicurato, così come l’utilizzo delle risorse. Insegnamenti che provenivano dalla necessità di evitare ogni spreco.

A Riace è stato possibile costruire un ponte, fra antiche pratiche e i giovani che volevano conoscerle. Un’esigenza strana, all’inizio quasi osteggiata dagli anziani del paese che leggevano in quei mestieri povertà e tribolazioni. Un tempo ogni casa aveva un telaio, ora abbandonato, ora diventato supporto per il pollaio. All’inizio era solo un sogno, condiviso con poche altre persone.

Sapere che esistevano realtà simili, è stato fonte di fiducia. A Collegno in provincia di Torino, in Francia in Provenza la comunità dei Longo Mai. Domenico cerca e lascia dei segnali precisi, anche questa scelta non è casuale. “Tutto arriva dal mare”, la storia di Riace è profondamente legata alla Magna Grecia. E’ il 16 agosto del 1972, quando dalle acque del mare emergono i bronzi di Riace. Ancora oggi in paese si interrogano se quel ritrovamento avrebbe potuto cambiare le sorti della comunità.

Così non è stato. I bronzi, subito rimossi, si trovano nel museo di Reggio Calabria. A segnalarne il passaggio, qualche cartolina nell’unica tabaccheria di Riace alto, insieme a qualche esemplare di ‘palla con neve’ e bronzi annessi.

E’ estate, 1 luglio del 1998 quando il mare propone un altro arrivo. Questa volta sono imbarcazioni di Kurdi. Duecentoventi persone approdano sulle spiagge. Domenico racconta di aver sentito l’esigenza di fare qualcosa di molto concreto.

Le case c’erano, si trattava di contattare i proprietari e chiederne l’utilizzo. La risposta positiva ha avviato una serie di iniziative a cascata. Nasce il “villaggio rurale’, capace di riproporre valori come l’ospitalità, fondamentali per le comunità calabresi, insieme al recupero degli antichi mestieri artigianali. “Il mare prende il mare dà”, un rapporto di odio e amore. Dal mare erano arrivati anche i martiri cristiani Cosma e Damiano, subito eletti protettori delle coste. Santi in grado di proteggere la popolazione dai pirati, dai saccheggi.

Il comune di Riace aderisce al Programma Nazionale Asilo, avviato dal ministero dell’Interno. Il paese ricomincia così a vivere, con cento posti letto, una possibile attività economica per un turismo responsabile in grado di far conoscere percorsi alternativi. Sette case vengono riservate a Eritrei giunti anche loro dal mare. Con sedici euro si può soggiornare nelle case “dell’ospitalità diffusa”: sono case antiche, anche queste piene di storia, mura spesse, sepolte dagli ulivi, case terapeutiche. Con dieci euro si può mangiare nella trattoria. Un antico palazzo nobiliare del ‘700 Palazzo Pinnarò è usato come centro di aggregazione e interculturalità. I primi finanziamenti trovati dalla Banca Popolare Etica.

Viene fondata una cooperativa Il borgo e il cielo in grado di seguire i laboratori di tessitura, di ceramica, vetro, confetture e olio con l’ultimo frantoio del paese rimasto. Dieci persone ci lavorano, fra questi due ragazzi afgani: Khadim e Issà. Non ce la faranno a fermare questo processo, tutto gira molto più in fretta.

E’ intraducibile, è completamente inaspettato il rapporto del sindaco con il parroco di Riace. Discutono di problemi sociali, litigano e si confrontano, discutono di connivenze mafiose con una specificità: il parroco proviene dal Congo. La festa patronale, dei Santi Cosimo e Damiano, avviene a Settembre, Domenico è sindaco da un anno, quando decide di utilizzare proprio quell’evento per dare un’altra spallata e introdurre nella piccola comunità nuovi elementi di solidarietà. Propone di destinare una parte dei soldi raccolti durante la festa (normalmente usati per fuochi d’artificio o spese che ricadono sul paese stesso), per un progetto in Niger.

Consapevole di aver forzato la mano, nei mesi successivi lavora per coinvolgere la comunità. Il sindaco di Riace è una fucina di idee, una a lui particolarmente cara è la raccolta differenziata fatta con gli asini. Un animale un tempo molto utilizzato in campagna, riportato agli onori della collettività attraverso un’esperienza pilota in grado di conciliare il vecchio mondo con quello nuovo, farne spunto propositivo e attuale.

Adesso siamo in ballo con l’esperienza di Riace: la trasformazione culturale in un piccolo paese della Calabria, dobbiamo giocarcela. Non ho paura”. Dice il sindaco. “Borsellino eFalcone stavano entrando dentro ad alcuni sistemi che nessuno deve toccare. E’ emblematica la frase di Borsellino quando gli chiedono se ha paura: sì ho paura, ammette, ma sarebbe meglio che tutti avessero più coraggio”.

Quando è stato ucciso Franco Fortugno, vice Presidente del Consiglio Regionale della Calabria, il sindaco di Riace ha preso carta e penna e ha scritto ai suoi concittadini. Ha scritto per rimarcare una cultura alternativa ai rapporti mafiosi.

Noi rappresentanti delle istituzioni locali, autorità civili, militari e religiose: noi che spesso nel nostro agire quotidiano, nell’espletamento delle nostre funzioni smarriamo il senso della missione politica per consolidare i nostri mandati; noi che spesso dimentichiamo di rappresentare delle parentesi “pro−tempore” ricerchiamo compromessi per giustificare obiettivi spesso irraggiungibili; noi che spesso diamo la sensazione di stare con un piede da una parte e uno dall’altra, per non correre rischi, protetti dalle ombre, dai silenzi, dalle omertà che avvolgono i vicoli, le piazze, le strade e le contrade dei territori calabresi; noi che spesso e inconsapevolmente siamo complici e funzionali a sistemi di corruzione, a logiche clientelari che si consolidano nel tempo e si stratificano sotto la stessa coltre della rassegnazione e dell’indifferenza culturale ed intellettuale; noi che siamo incapaci di liberare la nostra libertà, che non riusciamo a fare più di “cento passi” dobbiamo avere almeno il coraggio di guardare in faccia la realtà e di metterci una mano sulla coscienza per raccogliere la sfida e il messaggio di rabbia dei giovani della Locride che aspirano ad una Calabria diversa, nuova, più libera, sollevata dal peso di ataviche oppressioni, una Calabria il cui processo di sviluppo e di ricostruzione deve necessariamente passare attraverso il lavoro di una nuova coscienza in grado di promuovere atteggiamenti culturali autentici ai valori negativi delle varie mafie e di una società globalizzata che da tempo ha smarrito la strada per l’affermazione della dignità umana.

Solo così possiamo onorare il sacrificio e la memoria di chi ha lasciato la vita per questi ideali. Solo così avrà un senso continuare a vivere in questa terra”.