Economia & Lobby

L’allarme tardivo di Nicola Zingaretti

Per comprendere perché le nostre città sono preda della speculazione edilizia torna utile il grido d’allarme lanciato pochi giorni fa dal presidente della Provincia di Roma, Nicola Zingaretti, stimato esponente del Pd. Ha affermato che da 2001 fino ad oggi circa 300.000 cittadini romani sono andati via dalla città ed hanno ingrossato l’immensa periferia metropolitana.

Un grido d’allarme purtroppo tardivo e reticente allo stesso tempo. Sono anni che la migliore cultura urbanistica che si raccoglie intorno al sito Eddyburg (eddyburg.it) denunciano che le maggiori città italiane sono sottoposte ad un impetuoso processo di valorizzazione immobiliare che, non governato, crea squilibri e allontanamento di residenti dai centri. Gli abitanti vengono dunque espulsi dal processo di impetuosa crescita dei valori immobiliari di questi anni.

Roma, in particolare aveva già subito una diminuzione di popolazione nel decennio 1991 -2001 pressochè identica: 300 mila abitanti. Quegli urbanisti, denunciavano anche come fosse possibile che le amministrazioni di centro sinistra della città (sindaci Rutelli e Veltroni) avessero fatto approvare un nuovo piano regolatore che prevedeva un incremento edilizio spaventoso, pari a circa 70 milioni di metri cubi di cemento, qualcosa che poteva ospitare un aumento di popolazione di oltre 400 mila abitanti. Ci chiedevamo insomma, quale fosse la logica di continuare a riempire di cemento e di asfalto una città in evidente declino demografico. Se quegli abitanti erano andati via perché i valori immobiliari erano fuori controllo, come sarebbero potuti tornare se tutte le previsioni di nuova edilizia sono private e dunque con valori identici a quelli attuali?

Non ci fu risposta allora e -purtroppo- anche Nicola Zingaretti sorvola sullo scandalo: nel denunciare la ulteriore perdita di popolazione non dice infatti una parola sullo scandalo del 2008, quando l’allora sindaco Veltroni (e con lui tutto il coro dei dirigenti Pd) annunciava trionfante l’approvazione del nuovo piano regolatore.

Non è un caso isolato. A Milano che è interessata da un simile – anche se inferiore in termini numerici- fenomeno di diminuzione demografica è stato approvato un paino che prevede secondo l’entusiasta assessore all’urbanistica Masseroli, previsioni per nuovi 700 mila cittadini! A Torino accade la stessa cosa. Firenze è agli onori delle cronache per le speculazioni della cricca. Purtroppo non sono pazzi: sono soltanto docili pedine in mano ad un più complesso disegno economico: in questi anni un compatto schieramento politico e culturale che va dalla maggioranza all’opposizione oggi rappresentata in Parlamento ha deciso che le città e il territorio sono questione esclusivamente economica e la loro evoluzione non ha più alcun rapporto con le esigenze reali della popolazione.

Torniamo all’esempio romano. Quei seicentomila espulsi dalla città avrebbero il diritto di avere un moderno sistema di trasporti su ferro che li aiuti a spostarsi verso i luoghi di lavoro rendendogli almeno migliori le condizioni di vita. I sempre più numerosi anziani avrebbero il diritto a servizi che li aiutino nella difficili incombenze quotidiane. I giovani quello di avere parchi curati e scuole decenti. Per questi diritti elementari ci continuano a raccontare l’ignobile menzogna che “non ci sono i soldi”. Intanto continuano a cementificare le nostre città solo per sfamare gli appetiti della speculazione: da Santa Giulia a Milano ai due nuovi quartieri della Roma e della Lazio nella capitale, dal grattacielo del San Paolo a Torino alla cementificazione della piana di Castello a Firenze. Milioni di metri cubi che non servono alle reali esigenze delle comunità urbane ma sono imposte dal pensiero unico della “città come motore economico”. Fino a quando?

E quei poteri che dirigono l’orchestra continuano pure a raccontano che non si riesce a costruire perché ci sono troppi vincoli. Hanno in mano i grandi organi di stampa (Messaggero e Mattino: Francesco Gaetano Caltagirone; Il Tempo: Domenico Bonifaci; la grande totalità dei giornali locali ad iniziare dalla Nuova Sardegna sono in mano a “imprenditori” edilizi. Se si sale un po’, infine, si arriva al Corriere della Sera in cui siedono esponenti delle famiglie Ligresti e Berlusconi e del sistema bancario che ha finanziato allegramente ogni tipo di speculazione.

Non esiste nessun altro paese europeo che abbia cancellato il governo pubblico delle città. Da noi un ceto politico colluso culturalmente ed economicamente –salvo lodevoli eccezioni- con i poteri finanziari e il mondo del cemento continua sistematicamente a distruggere le regole urbanistiche. Si parla infatti del quarto condono edilizio e di ulteriori liberalizzazioni in materia. E mentre gli altri paesi europei tentano di uscire dalla crisi economica investendo nella ricerca, nell’università e nelle tecnologie di risparmio energetico, noi continuiamo ad espandere all’infinito le città per poi tagliare la spesa locale, così da rendere impossibile la realizzazione delle opere che rendono civili i quartieri. Siamo un paese in mano alla più feroce speculazione immobiliare.