Cronaca

Calabria criminale, dall’inizio dell’anno undici cronisti minacciati dalle cosche

Biglietti anonimi, cartucce in busta chiusa. Per il procuratore Pgnatone "da gennaio si registra un forte aumento della tensione"

«Fatti i cazzi tuoi se non vuoi morire». Semplice, perentoria, lapidaria. La minaccia di morte è arrivata imbustata, come spesso accade, ieri mattina nella redazione di Catanzaro del Quotidiano della Calabria. Destinatario Saverio Puccio, giornalista.

Minacciare di morte i cronisti in Calabria è ormai sport nazionale. Undici intimidazioni dall’inizio dell’anno, quelle denunciate, quattro negli ultimi venti giorni. Lettere e telefonate anonime, macchine che saltano in aria. Intimidazioni ai familiari che vivono a cento passi dal boss. L’informazione calabrese è nel mirino da un po’, ma è in questo 2010 che le cosche stanno davvero dando il meglio di sé.

«Tre giorni fa – dice Saverio – è uscito un mio pezzo sullo scioglimento per mafia del Comune di Borgia che riportava le motivazioni del ministero dell’Interno. Ho scritto che le cosche, dopo aver determinato la caduta della vecchia amministrazione, hanno condizionato il voto amministrativo riuscendo per altro a esprimere la nomina del vicesindaco Salvatore Varano». Un personaggio, emerge dalle carte dell’operazione “Focus”, in stretto contatto con Giuseppe Cossari, considerato il capo clan. E così lo stesso giorno arriva in redazione un fax di protesta firmato “i familiari di Giuseppe Cossari”, il giorno dopo il contenuto del fax giunge per posta, ieri l’anonima minaccia di morte.

Messaggi violenti e imbustati. Come quello ricevuto il 16 luglio scorso da Riccardo Giacoia, giornalista di Rai Calabria. Telefonate anonime con le quali il 5 luglio si promettono fucilate a Pietro Comito di Calabria Ora perché aveva scritto delle nuove leve del clan Soriano di Vibo Valentia. Minacce e insulti al citofono due giorni dopo per Guido Scarpino, Calabria Ora, colpevole di aver riportato una storia che hanno raccontato tutti: le scorribande stile arancia meccanica di una banda di balordi gregari dei clan di Paola. La telefonata “sappiamo chi sei e dove abiti” a Giovanni Verduci del Quotidiano a Siderno. La stessa redazione dove sotto la porta a marzo hanno fatto scivolare una cartuccia calibro 12 con incollato il nome di Michele Inserra. Le ennesime pallottole imbustate a Leonardo Rizzo, nonno felice e freelance di Cariati. L’auto esplosa a Reggio Calabria del blogger Antonino Monteleone. Lettere anonime ancora nel Reggino a Michele Albanese del Quotidiano, a Giuseppe Baldessarro, corrispondente di Repubblica, Filippo Cutrupi del Giornale e QN.

Undici, solo nel 2010, sui 26 casi contati in tutto il territorio nazionale. I numeri parlano chiaro e dicono che nel triennio 2006-2009 in Calabria sono stati minacciati 10 cronisti: un incremento del 300%. «Dal 3 gennaio di quest’anno – ci dice il Procuratore di Reggio Calabria Giuseppe Pignatone – si registra un forte aumento della tensione in tutto il territorio calabrese. Questi numeri dimostrano che l’esercizio di ciò che è considerato normale nel resto del Paese, la libertà di stampa, in Calabria è percepito come qualcosa di straordinario a causa della pervasiva attività delle cosche. Questa regione poi è succube di uno storico isolamento informativo. Far conoscere le storie dei cronisti minacciati è invece la prima e fondamentale forma di tutela della loro incolumità.»

di Roberto Rossi