Società

Sangue padano non mente

di Elisabetta Reguitti

C’è chi ha lo stalliere e chi l’autista. C’è chi riconosce i servigi ricevuti chi al contrario scarica i fedelissimi. Si sa, la politica è così: oggi a te, domani a me mentre ieri è toccato a Giuseppe (Pino) Babbini, 73 anni ben portati.
Un omone che sulla giacca a vento ha appuntato una spilletta della Dia (Direzione investigativa antimafia) al polso destro esibisce un braccialetto in plastica color verde padano, al collo il crocifisso e nelle borsa una copia de Il Fatto Quotidiano.
Pino, già taxista, è stato per anni l’amico-autista di Umberto Bossi. E’ stato con lui; vivendo giorno e notte con il leader celodurista, nato “fancazzista” riabilitato per un periodo come dipendente dell’Aci di Varese, fino alla solenne discesa in campo avvenuta a Milano 2 (scherzi del destino politico) al Jolly Hotel di Segrate.
Durante il primo “Congress Nassjonal de la Lega lumbard”. Correva l’anno 1989 (quando cadeva il muro di Berlino): esattamente 20 anni del movimento “che fu” secondo Babbini, che fino al 17 settembre 1996 è stato il braccio destro di Bossi. La storia tra Pino e Umberto nasce, come spesso accade, per caso. Qualcuno dimentica sul sedile posteriore del taxi di Pino un giornaletto della Lega (l’antesignano della Padania per intenderci). Il taxista lo sfoglia trova un numero di telefono che compone la sera stessa. Dall’altro capo la voce roca che per anni Pino ha sentito e che oggi imita fedelmente.
Era lui: l’astro nascente (diplomato alla scuola Radio Elettra) fautore del nuovo soggetto politico che attinge dal giuramento di Pontida (di otto secoli prima) e dalla carismatica figura dell’eroe Alberto da Giussano che brandisce con fierezza il suo spadone simbolo della liberazione dei popoli dall’egemonia di Federico Barbarossa. Bossi, che pochi anni dopo sarebbe stato il capo della Lega Nord (fusione della lega Lombarda con altri gruppi autonomisti) e che dal palco del Jolly (davanti a 500 militanti di cui 127 soci ordinari) avrebbe ammansito il popolo padano dicendo: “Noi siamo pazienti e tolleranti. Non siamo razzisti, non siamo antimeridionalisti e non siamo fascisti”.
Così Bossi aveva folgorato Pino. Ombra fedele, amico e confidente, riferimento all’interno del movimento ma anche uomo di strada (e di politica come consigliere comunale a Milano all’epoca del sindaco Marco Formentini) capace di intercettare le voci della gente. Lui nato “rosso” nella sinistra del Psi accompagnava quel suo amico-segretario di partito ai comizi organizzati per celebrare i successi degli anni di “mani pulite”. In favore dei giustizieri dell’Italia minacciata dalle mafie. “La Lega è sempre stata contro i terroni mafiosi ma non contro i meridionali” specifica Pino mostrando i cimeli cartacei del suo passato padano.
Parla delle prime 95 tessere del sindacato leghista che era riuscito a fare sottoscrivere tra i suoi compagni taxisti, ricorda della bega sfociata a piazza San Babila tra lui e Piero Prosperini, della battaglia contro il centro Leoncavallo, la proposta di portare le Olimpiadi a Milano ma soprattutto di come era riuscito a convincere Bossi a scatenare l’Iradiddio contro l’annullamento della gara di Formula Uno all’autodromo di Monza nell’estate del ‘94.
Poi qualcosa si è irrimediabilmente infranto. “Bossi mi ha accusato di avergli rubato una macchina fotografica ma anche che gli insidiavo la moglie. Tutte balle. Qualcuno all’interno della Lega non voleva che dicessi ad Umberto quello che non andava. Io gli dicevo di non accettare di andare con Berlusconi e con i fascisti. Che al governo, prima o poi, la Lega ci sarebbe andata da sola e grazie esclusivamente ai voti dei suoi elettori. Quel partito era il nuovo che avanzava. Mentre Berlusconi, al contrario, come portaborse di Bettino Craxi, una costola del vecchio regime”. Pino racconta che il 26 luglio 1999 ad Arcore incontrò Silvio Berlusconi che gli chiese il perché Bossi aveva fatto crollare il Governo nel 1994. “Io gli dissi cosa pensassi e nel settembre dello stesso anno fecero di nuovo pace”.
Per la verità, però, Umberto Bossi durante un incontro pubblico su Berlusconi diceva: “E’ un uomo della mafia. Un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra“. Parole che secondo Pino avrebbe personalmente suggerito al leader del Carroccio. Fatto sta che il rapporto tra Umberto e Pino si rompe irrimediabilmente nel settembre 1996 durante la marcia su Venezia. “Da quel momento io sono stato un uomo morto. Sia sul piano politico sia purtroppo su quello professionale. Avevo venduto la mia macchina perché lui mi aveva chiesto di seguirlo e accompagnarlo nel suo cammino politico. Soldi in un primo periodo non ne presi perché non c’erano per nessuno. Poi però sono arrivati e il mio stipendio era di 2 milioni e 500 mila lire. In verità però mi dovrebbero ancora un sacco di soldi. Ho pure avviato una causa di lavoro nei confronti del partito. Naturalmente l’ho persa. Allora era ministro Castelli. Figuriamoci”.
Pino dice la verità quando parla di promesse fattegli dal segretario del Carroccio. Mostra una nota, del 18 settembre 1995, scritta su di un foglio della Camera dei Deputati firmata da Umberto Bossi sulla quale si legge l’assegnazione a incarico di “responsabile della sicurezza, dell’incolumità e trasporto dei rappresentanti istituzionali più in vista della Lega”.
Oggi l’ex braccio destro di segretario della Lega però scuote la testa e ripete “Bossi mi ha distrutto”. Mentre ripone i numerosi articoli di giornale e i fogli Pino mostra lo schizzo del suo ultimo progetto: un’arca di Noè con sopra l’universo. E’ l’idea di un nuovo movimento “salviamo il mondo” che richiama gli ideali ecologisti. Già, perché Pino, in realtà, un’idea per evitare il surriscaldamento dell’ atmosfera se l’è fatta. “Perché non lasciamo tutti gli stranieri che vivono nei paesi caldi a casa loro anziché portarli qua che poi hanno freddo, usano il riscaldamento e le macchine per andare in giro. Tanto a noi non servono. Meglio che rimangano dove sono nati”. Proprio vero: buon sangue padano non mente.