Operazione Cultura

Yoani Sanchez, minacce di regime alla pasionaria blogger di Cuba

di Stefano Citati

Yoani Sanchez era già la voce del dissenso cubano. Da ieri è l’eroina della resistenza al regime. Sono stati gli scherani stessi di Raul Castro a farne un’icona che va oltre il blog, lo spazio internet che la 34enne dell’Avana occupa da tempo e che l’ha resa famosa nel mondo. Ma ora che l’autrice di Generacion Y è stata picchiata dai membri della sicurezza della Repùblica de Cubae “sequestrata” (la parola da lei usata non appena scaricata dall’auto nella quale è rimasta ostaggio per mezz’ora), sarà difficile per il governo il cui motto è “Patria e libertà” arginare il clamore e le critiche, soprattutto internazionali.

Certo quello che è successo all’Avana è un avvertimento mafioso – in stile camorra-Gomorra, è stato scritto – ma ricorda ancor più le modalità della sparizione di tanti oppositori ai regimi fascisti latinoamericani degli Anni Settanta-Ottanta. È una pratica così simile a quello che avveniva a Santiago del Cile o a Buenos Aires, da produrre un cortocircuito dell’immaginario rivoluzionario e creare un parallelo tra opposti regimi. Alla fine le forme di repressione si assomigliano e chi le realizza – che sia in nome di un estremismo o di un altro – pure.

In questo caso erano uomini in borghese, che non hanno presentato documenti, usciti da un’auto con la targa gialla (ovvero privata, non identificabile), dai modi brutali ed esperti, mosse da arti marziali, “anche se mi son resa conto che erano agitati, inquieti e per un momento non sicuri di quello che dovevano fare”, ha spiegato poi Yoani ai colleghi de La Stampa, con la quale collabora.

Yoani e tre suoi amici sono stati bloccati venerdì sera poco prima di partecipare a una manifestazione contro la violenza nel quartiere del Vedado; invece hanno subito mezz’ora di botte e minacce. Lei e Orlando Luis Pardo sono stati spinti da due persone contro una macchina privata modello Geely. Un’altra blogger, Claudia Cadelo, e un’amica sono state costrette a salire su un’altra macchina della polizia che le ha portate via. “Questi sono dei controrivoluzionari” dicevano, secondo il racconto poi scritto sul blog dalla Sanchez, gli agenti per tenere lontani i passanti. La blogger a sua volta chiedeva di mostrare i tesserini identificativi o di esibire un’ordine d’arresto; di fronte alla resistenza dei due gli agenti hanno fatto una telefonata in cui hanno chiesto a qualcuno “Cosa facciamo?”. Subito dopo, ha spiegato Sanchez, sono cominciate le botte. “Mi hanno messo le gambe verso l’alto, prendendomi per la gonna e tenendomi a testa in giù per infilarmi dentro l’auto”. Dentro uno le ha messo il ginocchio sul petto mentre l’altro le dava colpi sulla nuca perché aprisse la bocca e buttasse via un biglietto di carta che aveva poco prima preso dalla tasca di uno degli agenti. In quel momento lei ha stretto i testicoli a quello che la schiacciava col ginocchio. “Fino a qui sei arrivata. Non farai più cazzate”, ha riferito la Sanchez di aver sentito dire mentre picchiavano anche il suo amico. Poi i due sono stati gettati fuori dall’auto, con escoriazioni e lividi che hanno anche mostrato sui blog, insieme al dettagliato racconto dei fatti (“Temevo di essere finita”) e alla considerazione che “il regime ha paura di me”.

Intanto, alla manifestazione alla quale doveva partecipare la Sanchez, durata una ventina di minuti, hanno partecipato circa 150 persone, tutti giovani, i quali hanno camminato sui marciapiedi della strada 23 innalzando cartelli in cui si leggeva “Non + violencia”.

da Il Fatto Quotidiano n°41 dell’8 novembre 2009