Politica

Lo Stato, provincia di Arcore

Nell’ambito della privatizzazione dello Stato e delle sue istituzioni, ce ne siamo appena giocate altre due: l’Avvocatura dello Stato e forse un pezzo di magistratura. Ieri la Corte d’appello di Palermo ha rifiutato di esaminare le nuove prove a carico di Marcello Dell’Utri: le dichiarazioni di Massimo Ciancimino sulle tre lettere (una delle quali sequestrata nel 2005 in casa Ciancimino e rimasta sepolta in procura per quattro anni) che Provenzano avrebbe scritto a Berlusconi facendogliele recapitare da Dell’Utri.

La possibilità che Dell’Utri fungesse da pony express fra il boss e il premier avrebbe dovuto quantomeno incuriosire la Corte che sta processando Dell’Utri per il suo ruolo di trait d’union fra la mafia e il Cavaliere. Invece il presidente Dall’Acqua se n’è uscito con un’ordinanza in cui spiega che la lettera e i verbali di Ciancimino non contengono “fatti riconducibili a Dell’Utri suscettibili di utile rilievo processuale”. Curioso argomentare: un tizio è imputato, poniamo, per essere il galoppino del clan dei Marsigliesi. Poi, durante il processo, salta fuori la prova che il capo dei Marsigliesi lo usava come galoppino. E i giudici che fanno? Dicono che la nuova prova è inutile: in fondo si riferisce solo ai rapporti fra i Marsigliesi e il tizio imputato per i suoi rapporti con i Marsigliesi. Speriamo che la Corte riscopra i fondamenti della logica in tempo per la sentenza.

Intanto l’avvocato dello Stato Glauco Nori si precipita alla Consulta per difendere la costituzionalità del Lodo Alfano. Ma, per la strada, è colto da una drammatica crisi d’identità e non riesce più a distinguere tra lo Stato e Berlusconi, né tra se stesso e Ghedini. Stando al sito ufficiale dell’Avvocatura dello Stato, questa è “un ‘pool’ di giuristi specializzati che rappresenta e difende in giudizio l’amministrazione statale e, più in generale, tutti i poteri dello Stato…”. Cioè dovrebbe difendere la norma generale e astratta, se ci riesce. Nori invece ne difende l’utilizzatore finale. Dice che il Lodo va mantenuto non perché sia conforme alla Costituzione (vien da ridere anche a lui); ma perché, se fosse bocciato, Berlusconi tornerebbe imputato e sarebbe costretto alle dimissioni. Curioso argomentare anche questo: Berlusconi è stato rinviato a giudizio una ventina di volte in 15 anni e non s’è mai sognato di dimettersi (nemmeno quando fu condannato per tre volte in primo grado nel 1997-98); lui stesso ha sempre detto che non si dimetterà mai, nemmeno se condannato in via definitiva, anche perchè nessuno della finta opposizione gliel’ha mai chiesto; in tutto il mondo libero i premier imputati si dimettono all’istante, ma raramente vengono imputati perché all’estero non si usa candidare inquisiti.

L’avvocato dello Stato, con grave sprezzo del ridicolo, aggiunge che, se Berlusconi tornasse imputato, la stampa potrebbe seguire i suoi processi con “formule suggestive”, con uno “stile giornalistico” che a lui non garba e naturalmente con “fughe di notizie coperte dal segreto”. Forse questo Ghedini aggiunto ignora che la stampa è libera di usare le “formule” e lo “stile” che le pare senza chiedere il permesso all’Avvocatura dello Stato; e le fughe di notizie riguardano le indagini preliminari, mentre i dibattimenti sono pubblici e privi di segreti: e il Lodo blocca i dibattimenti, non le indagini. La prossima volta, prima di aprire bocca, l’avvocato dello Stato chieda in giro la differenza che passa fra lo Stato e Berlusconi. Dopodichè si consulti con il Ghedini vero: nemmeno lui avrebbe osato dire simili scempiaggini. E comunque,anche quando le dice, è pagato da Berlusconi. L’Avvocato dello Stato, invece, lo paghiamo noi.