Politica

Disegno di legge Lazzati

Sedici anni di attesa perché un disegno di legge come quello “Lazzati”, che impedirebbe di svolgere campagna elettorale a soggetti appartenenti ad associazioni mafiose e sorvegliati speciali, arrivasse in Parlamento.

Sedici anni, nonostante Gianfranco Fini – primo fra tutti – nel 1993 lo definisse strumento concreto, anche se non risolutivo, ai fini della lotta alla criminalità organizzata “perché colpisce un anello decisivo della catena mafia-politica come l’attività di propaganda elettorale, preservando le istituzioni elettive da infiltrazioni malavitose”.

Sedici anni, nonostante nel 1999 Antonio Di Pietro lo avesse presentato al Parlamento come strumento normativo al quale ogni modifica avrebbe tolto qualità.

Sedici anni durante i quali l’ex Presidente della Corte Costituzionale Cesare Ruperto, sedici magistrati della Corte di Cassazione, giuristi come Vittorio Grevi e Federico Stella ne hanno sostenuto necessità e urgenza di approvazione.

Finalmente, la Commissione Giustizia alla Camera: i lavori riprenderanno il 15 settembre prossimo e all’ordine del giorno ci sarà proprio la discussione di questa proposta di legge di appena tre articoli (una volta tanto di iniziativa parlamentare, tra i tanti provvedimenti governativi di questa legislatura). L’obiettivo è quello di raggiungere l’unanimità in Commissione, evitando così l’iter di approvazione in Aula e arrivare in Senato in tempi brevissimi.

Se il testo proveniente dal contributo trasversale di Sabina Rossa, Rosa Calipari, Doris Lo Moro, Roberto Occhiuto, Nicodemo Oliverio, Mario Tassone diventasse legge, sarebbe vietato a chi è indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, ed è sottoposto alla misura della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, di svolgere propaganda elettorale a favore o contro un candidato o una lista, direttamente o indirettamente. Soggetti che oggi, invece, pur privati per legge dell’elettorato attivo e passivo, possono dedicarsi alla raccolta del consenso.

Da uno a sei anni di carcere la pena prevista dal disegno di legge Lazzati, sia per il sorvegliato speciale che faccia propaganda, sia per il candidato che la solleciti. Il quale, se eletto, dovrà rinunciare.

“Ho pregato i colleghi dei vari gruppi politici di valutare le proposte di emendamento senza indebolire lo schema generale della proposta – ha precisato la relatrice e prima firmataria, onorevole Angela Napoli (Pdl) – schema che dovrà contenere non solo la punibilità del pregiudicato, ma soprattutto quella del candidato, prevedendo la decadenza dalla carica dello stesso, ove eletto, in Parlamento come in qualsiasi altro ente locale”. Aspetto, quest’ultimo – nemmeno a dirlo – ad avere alimentato le resistenze maggiori, sottolineando una volta di più come la collusione tra politica e criminalità organizzata abbia sempre trovato nella raccolta del consenso elettorale, nel numero delle poltrone e nella successiva “restituzione del favore” tra cosca mafiosa e referente politico i propri momenti vitali e irrinunciabili.

Il grosso limite dell’attuale normativa sul “voto di scambio”, riconosciuto solo dove sia dimostrata una elargizione di soldi in campagna elettorale, ha fatto il resto. E in meno di vent’anni, sono stati 185 i Comuni italiani sciolti per mafia – anche più volte – con un fenomeno in risalita verso il Centro e il Nord: Nettuno e Ardea nel Lazio, Bardonecchia in Piemonte. E il “caso” Fondi di questi ultimi giorni.

“Una vera e propria emergenza che non consente più ipocrisie – secondo l’ideatore del ddl Lazzati, Romano De Grazia, Presidente aggiunto onorario della Corte di Cassazione e fondatore del Centro Studi Lazzati – Non è più tollerabile che il nostro ordinamento permetta a persone sorvegliate speciali per reati di mafia di chiedere e raccogliere porta a porta il voto per questo o quel candidato. Tutto ciò rappresenta una lacuna del sistema, oltre che un gravissimo rischio di condizionamento e infiltrazione mafiosa”.

I tempi annunciati dalla Commissione Giustizia potrebbero far ricredere anche Giuseppe Ferrara, il regista impegnato di “Giovanni Falcone”, “I banchieri di Dio”, “Cento giorni a Palermo”, “Guido che sfidò le Br”: “Seguo da anni questa proposta di legge e sono sbalordito che non sia stata ancora approvata. Sbalordito, ma non tanto, perché ha ragione Travaglio quando dice che il nostro è un Paese al rovescio. Il significato di questa mancata approvazione è gravissimo ed è che la mafia può disporre della volontà parlamentare. Se il progetto sarà approvato, sarò felice di essere smentito”.