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La lettera di papà Tiziano racconta dei fatti processuali

16 Febbraio 2022

Le polemiche seguite alla pubblicazione di una lettera di Tiziano Renzi indirizzata al figlio Matteo sono la cartina di tornasole di come ormai in Italia vengano ignorati i fatti pur di non disturbare le opinioni.

La missiva, depositata in un processo che vede imputati tra gli altri proprio Tiziano e la moglie Laura Bovoli per la presunta bancarotta fraudolenta di tre cooperative, ripercorre alcuni passaggi della vita dell’azienda di famiglia Eventi 6 legata alle società saltate per aria. Ed è pure ricca di pesanti considerazioni su quattro amici e sodali del leader di Italia Viva. Maria Elena Boschi, Francesco Bonifazi e Alberto Bianchi vengono definiti la “banda Bassotti”. Mentre Marco Carrai viene dipinto come “un uomo falso”.

Così i supporter di Renzi, ma anche chi in perfetta buona fede ha l’abitudine di esprimere giudizi senza prima essersi informato, hanno bollato il deposito e la pubblicazione come “violazione dello Stato di diritto” o come “giornalismo spazzatura”. La tesi prevalente è che il documento, definito “una lettera privata priva di qualsiasi valore probatorio”, sia stata prodotta dall’accusa per vendicarsi contro Renzi junior reo di aver denunciato penalmente a Genova i pm fiorentini titolari dell’indagine sulla fondazione Open. Detto in altre parole, la missiva sarebbe finita agli atti e poi sui giornali allo scopo di sputtanare Renzi, la sua famiglia e i suoi amici.

La prima domanda cui dobbiamo rispondere è dunque questa: davvero il deposito è una vendetta per la denuncia contro i pubblici ministeri? Le date parlano da sole: Renzi junior si è rivolto alla magistratura genovese il 10 febbraio, i file riguardanti suo padre sono invece stati prodotti quasi un mese prima, il 18 gennaio, anche se la stampa ne ha scoperto l’esistenza solo due giorni fa. Chi, come Alessandro Sallusti su Libero, sostiene che la missiva dopo anni sia stata “data in pasto all’opinione pubblica, guarda caso nel momento in cui Renzi ha scatenato una campagna contro di loro” ha insomma torto. Carta, o meglio data, canta.

La seconda domanda ruota invece sul contenuto della lettera: davvero, come sostiene tra gli altri Teresa Bellanova, “non sembra avere nessuna attinenza con l’ipotesi processuale”? La risposta (negativa) arriva dalla lettura del documento. Per righe e righe Tiziano Renzi si dilunga sui propri affari e sulla figura dell’ex coimputato Mariano Massone, uscito dal processo fiorentino grazie a un patteggiamento della pena. Nei suoi confronti Tiziano dice di aver un debito di riconoscenza. Ricorda, tra l’altro, che Massone non lo ha tirato in ballo in un’altra inchiesta. E se la prende con Carrai, perché non è intervenuto sull’amministratore di Poste, Matteo Del Fante, per far nominare un direttore commerciale che avrebbe potuto, secondo lui, favorire le aziende di Massone.

Ma non basta. Tiziano considera Carrai “un uomo falso” anche perché avrebbe garantito un aiuto con Seat-Pagine Gialle che poi non è arrivato. A ben vedere sia Renzi junior sia Carrai, stando alla lettera, ci fanno una bella figura: non hanno raccomandato nessuno. Ma il punto in ogni caso è un altro: chiunque leggendo il documento per intero si rende conto dell’attinenza con il processo per bancarotta.

Resta l’ultima domanda: pubblicare è stato “giornalismo spazzatura”? Qui non diciamo nulla. Preferiamo invece rispondere ricordando una frase del grande inviato argentino Horacio Verbitsky, collaboratore de El Paìs, del New York Times e del Wall Street Journal: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole che si sappia. Il resto è propaganda”.

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