Covid-19, o è la terza guerra mondiale oppure basta allarmi

Domenica “normale” a Roma: ragazzini che giocano su un prato, la parrocchia affollata, la fila in pasticceria

3 Marzo 2020

La domenica ai tempi del virus nasce barricata dagli articoli sull’apocalisse, dalle foto della Capitale desertificata dalla paura (o forse già dalla pandemia assassina che ci nascondono, ’sti maledetti), dalla sanità distrutta e dalla nazione infetta che rantola sulla copertina di un settimanale, dalle notizie sugli stadi sprangati a doppia mandata, sugli scaffali dei market disossati dalla furia amuchina. Su questo tempo grigio e sudaticcio come una febbre subdola e definitiva (il morbo infuria, il pan ci manca).

Come un David Livingstone rionale alla ricerca di un giornalaio aperto mi avventuro temerario e scorgo ragazzotti che con incoscienza tipica dell’età giocano a palletta, e privi di mascherina, su prati chissà se contaminati. La strada principale del quartiere è stranamente gremita di passanti, che non assediano la farmacia bensì un apprezzato negozio di delizie napoletane da dove riemergono con infiocchettati pacchetti. Tipici contenitori non di prodotti antivirali, bensì di babà (come biasimarli, preferiscono chiudere gli occhi sotto gli effetti consolatori della glicemia piuttosto che del Covid-19). Anche la parrocchia è stranamente affollata: evidentemente non solamente da anziani mossi da comprensibile fiducia nell’imminente Aldilà, ma anche da giovani lungimiranti (hai visto mai?). Sì, forse intorno a noi, dietro l’apparenza si muove una normalità malata, rassegnata al proprio destino, incurante delle minime cautele forse perché considerate inutili. No, meglio non farsi ingannare dai 40mila convenuti sabato scorso allo stadio Olimpico per Lazio-Bologna, pigiati in dispregio di qualsiasi elementare profilassi, ma forse chissà uniti in un estremo cupio dissolvi (del resto, come si potrà assegnare uno scudetto in simili catastrofiche emergenze?). Sui quotidiani, il governo annuncia piani antivirus di tre, quattro miliardi. A che pro, risponde Matteo “Savonarola” Salvini, quando ne servirebbero dieci, venti volte, trenta volte tanti? (poi dice che uno si tocca).

Dalle colonne del Corriere, lo scrittore Alessandro Piperno si chiede “perché l’informazione, che per deontologia sarebbe tenuta a un’asettica ponderazione, si è impossessata degli strumenti tipici della narrativa horror o della fiction distopica? Fin dove può spingersi la tirannia del sensazionalismo catastrofista”. Mentre Piperno ci indica quello che è sicuramente il più vasto focolaio di infezione, la disinformazione dolosa, lunedì, sullo stesso giornale, il direttore Luciano Fontana nel rispondere a un lettore cerca di fissare un difficilissimo punto di equilibrio.

Da una parte il dovere di informare sui modi più efficaci per contenere il virus ed evitare la crescita esponenziale dei contagiati (e delle vittime). Tutto questo però “senza farci prendere dal panico”, poiché “tutto quello che può ripartire deve ripartire”. Sacrosanto, ma come si fa a “ripartire” quando l’informazione del buon senso, prima ancora di germogliare viene asfaltata da una comunicazione istituzionale da fine del mondo? Come la Regione Lombardia, che dice agli over 65 di “restare in casa”? Precauzioni o autolesionismo? Come se ne esce quando con l’evidente strategia di estromettere l’Italia dai mercati internazionali, perfino la Romania, i cui standard sanitari non rappresentano certo un modello di eccellenza, può permettersi di mettere in quarantena il nostro Paese?

Dobbiamo deciderci. Se il Covid-19 non è la terza guerra mondiale (e non lo è) chi ne ha il potere metta fine all’insensato procurato allarme di istituzioni fuori controllo che causano danni incalcolabili (nel 1957 l’influenza “asiatica” fece 2mila morti, nessuno proclamò lo stato d’emergenza e si aspettò semplicemente che si esaurisse). Ma se ci siamo dichiarati guerra da soli non aspettiamoci che qualcuno ci venga in soccorso.

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