Affaire eolico

Siri, l’ultimo giorno da sottosegretario. Il premier Conte forza: “Niente voto”

Palazzo Chigi - Stamattina si decide sul sottosegretario indagato per corruzione, il premier vuole evitare la conta. Il Carroccio: “Vedremo fin dove spingerci”

8 Maggio 2019

Oggi si farà male solo lui, Armando Siri, perché in qualche modo verrà spinto fuori dal governo. Probabilmente senza l’ordalia, senza un voto nel Consiglio dei ministri di questa mattina. Ma da qui a breve o a brevissimo chissà, bravo chi sa prevedere come e quanto si sopporteranno ancora i gialloverdi, che nel giorno in cui fioccano arresti e avvisi di garanzia da Nord a Sud ormai ammettono quello che tutti vedono, confermano che “c’è spaccatura e non solo su Siri, anche su Tav e autonomie” come dice Matteo Salvini a Matrix. E a distanza l’altro vicepremier Luigi Di Maio glielo rinfaccia, come si fa tra ragazzi che bisticciano: “Chiedete alla Lega se vuole aprire una crisi sul sottosegretario”. Ma anche se lui e Salvini non si parlano più da settimane il capo dei 5Stelle sa che non succederà oggi, e non così. E infatti le solite “fonti M5S” puntano il dito contro la Lega “che cerca pretesti per rompere”, ma indicano un’altra arma e un altro luogo per far saltare il banco, la conversione in legge del decreto Sblocca cantieri, ora in Senato. Invece oggi alle 9.30 tutti i ministri di Lega e Movimento saranno in Consiglio dei ministri, e lo schema di gioco non è ancora certo.

Anche se ieri sera pareva in calo l’ipotesi peggiore, quella urlata ieri per tutto il giorno da Salvini, ossia “che i 5Stelle si prendano la responsabilità di votare per le dimissioni di un sottosegretario senza alcuna prova” (sempre il ministro dell’Interno, a Zapping). E sarebbe la conta, quella dei pareri favorevoli e contrari (ma comunque non vincolanti) al decreto di revoca già deciso dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, e che dovrà essere firmato dal Quirinale. Per questo Di Maio fino all’ultimo ha invocato le dimissioni dell’ultimo minuto del sottosegretario indagato per corruzione. Ma le fonti, questa volta del Carroccio, giuravano che “non se ne parla”. Però in questa gara a chi fa la faccia più feroce c’è anche tanto sangue finto. Così va notato il periodo ipotetico adoperato da Salvini, “se si voterà”. E pesa il Giancarlo Giorgetti che lo ha detto dritto: “Il Cdm? L’interesse è che il governo vada avanti”. Così potrebbe prevalere la linea del premier, di Giuseppe Conte, che oggi in Consiglio dirà che il decreto di revoca, deciso da lui d’intesa con il ministro competente (quello alle Infrastrutture, il 5Stelle Danilo Toninelli) non va votato. “Il presidente andrà dritto, starà alla Lega decidere se si deve per forza andare alla conta” dicono da Palazzo Chigi.

E potrebbe finire così, con leghisti e 5Stelle in silenzio sul caso del sottosegretario, senza farsi male. “Diciamo che andremo in Cdm e vedremo fin dove possiamo arrivare” riassume una fonte di governo del Carroccio, convinta che “sarebbe inutile e controproducente votare”. Però Salvini potrebbe farsi sentire, fare fuoco dimostrativo. E nella ridda di ipotesi e calcoli scorrono le scene di una vigilia comunque da stracci incrociati, con il ministro dell’Interno e Di Maio che si rincorrono nelle tv e nelle dichiarazioni. E ad aggiungere benzina provvede la pioggia di arresti in Lombardia, che flagella Forza Italia, certo, “ma quella è pur sempre la casa della Lega” dicono fuori taccuino i 5Stelle. Ergo, l’inchiesta lombarda alimenta “la questione morale, quella su cui faremo tutta la campagna da qui alle europee del 26 maggio” confermano dal Movimento. E non è un caso che fonti di governo raccontino volentieri una scena di ieri mattina. Con Giorgetti che a margine di una riunione avvicina il ministro alla Famiglia, il veneto Lorenzo Fontana, e gli chiede: “Ma che diamine stanno combinando in Lombardia?”. Però la certezza è che i 5Stelle puntano il dito. Magari anche perché “devono parlare all’elettorato di sinistra, perché il loro vero terrore è arrivare dietro il Pd il 26 maggio” come punge il leghista Igor Iezzi.

Così nel pomeriggio Di Maio e il ministro alla Giustizia Alfonso Bonafede tengono una conferenza stampa alla Camera, decisa e convocata in poche ore, in cui il Guardasigilli elenca effetti e pregi della legge Spazzacorrotti. “Grazie a noi chi sbaglia paga” rivendica. E visto che c’è precisa: “Non commento le indagini, ma la politica lasci in pace i magistrati e si assuma le proprie responsabilità”. Invece Di Maio è quasi messianico, e ripesca quel termine del 1992 che ha segnato un’epoca: “Ci aspettiamo una reazione delle forze politiche, contro una Tangentopoli mai finita”. Poi ovviamente infierisce su Siri e sul nuovo caso rivelato da Report: “È ora di spiegare quel mutuo per un palazzo, fatto con una banca di San Marino”. Ma soprattutto promette leggi draconiane, ad occhio indigeste per il Carroccio: da quella contro la grande evasione (le manette agli evasori) alla legge sul conflitto d’interesse, fino a un testo sui rapporti “tra istituzioni e lobby” e a un altro sulla riduzione dei tempi della giustizia. Però non cita praticamente mai Salvini, perché l’urgenza è superare la nottata, tenersi a galla almeno fino al 26 maggio. E in serata alla Camera arriva anche Davide Casaleggio, per capire che aria tira. “D’altronde Salvini va capito, non può cedere su Siri perché deve rassicurare gli altri dei suoi, quelli indagati o rinviati a giudizio” riflette un big del M5S. Tanto oggi non si potrà più traccheggiare. Almeno su Siri, il problema che è solo un sintomo, dei malanni gialloverdi.

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