Il caso

Stefano Leo, da Torino a Messina scoperture del personale fino al 37%. E le sentenze vengono eseguite a rilento

Giustizia lenta - Carenza di personale, carte che si accumulano e magistrati in difficoltà. Il caso di Torino non è un’eccezione

6 Aprile 2019

Chi si occupa di giustizia sa che da sempre all’apertura di ogni anno giudiziario, solitamente a fine gennaio, un alto magistrato, quasi sempre il o la Presidente della Corte d’appello, o un Procuratore capo a un certo punto si alzerà e parlerà della mancanza cronica di magistrati e di personale amministrativo sufficienti.

Una piaga che è diventata un dramma a Torino, dove Edoardo Barelli Innocenti, Presidente della Corte d’appello del capoluogo piemontese, è stato costretto ad andare in conferenza stampa per chiedere scusa alla famiglia di Stefano Leo, il giovane ucciso per caso da un uomo, Said Mechaquat, su cui pendeva l’esecuzione di una pena definitiva per maltrattamenti a un anno e mezzo di carcere. Con gli arretrati, prosegue il Presidente, l’ordine era quello di dare precedenza alle condanne sopra i 3 anni: Barelli Innocenti si prende i pesci in faccia, parole sue, ma punta anche il dito. “Non è neanche giusto distinguere tra magistrati e cancelleria, ma la massa di lavoro da smaltire è tale che il ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno”.

E infatti in alcuni distretti giudiziari le scoperture sfiorano o addirittura superano il 30%. A Milano, si attesta per esempio al 37% nella sola Procura per quanto riguarda il personale amministrativo: sono gli uffici delle esecuzioni penali che devono far eseguire una sentenza.

Leggendo i dati del Bilancio sociale degli uffici inquirenti ambrosiani, per esempio, si scopre che a dicembre 2017 l’arretrato era di 1.000 sentenze definitive da iscrivere e in generale l’ufficio lavora circa 5.000 fascicoli all’anno. Con una previsione di dover esaminare entro ottobre 2018 circa 25mila sentenze arretrate. Non a caso, tre magistrati sono stati dedicati solo a quest’ufficio dal procuratore Francesco Greco.

Un problema condiviso con un’altra grande Procura, quella di Roma, che aveva fatto dire a Giuseppe Pignatone: “Siamo con l’acqua alla gola, è un miracolo che si raggiungano risultati nelle condizioni date. I buchi del sistema amministrativo sono parte significativa di quello che poi diventa prescrizione”.

Non meno forte la denuncia della presidente della Corte d’appello di Venezia, Ines Maria Luisa, che a gennaio spiegava come su una pianta organica di 112 amministrativi fossero in servizio solo 88 addetti, con 12 persone verso la pensione.

Altro distretto, altri uffici, ma lo stesso problema: il Presidente della Corte di appello di Bologna Giuseppe Colonna, nella relazione in apertura dell’anno giudiziario, per il Tribunale di Sorveglianza segnalava “una situazione del personale amministrativo è drammatica, con una scopertura effettiva del 30,8%” (la scopertura media nazionale di uffici similiari è del 15,3%).

Anche al Sud la situazione appariva complicatissima solo tre mesi fa: a Messina erano vuoti 12 posti di giudice nei Tribunali di Messina, Barcellona Pozzo di Gotto e Patti.

A Vasto, in Abruzzo, sono stati gli avvocati ad alzare la voce o meglio a incrociare le braccia per protestare per la carenza del personale.

Anche a Napoli, una scopertura impressionante stando ai dati del Giuseppe de Carolis di Prossedì, Presidente della Corte d’appello: in servizio ci sono 30 magistrati, ma a gennaio ne mancavano 15.

Il cahier de doléances potrebbe ancora allungarsi. Perché alla carenza di personale amministrativo si aggiunge anche un problema di data-entry, ovvero di inserimento dati perché in molti casi i sistemi informatici non si parlano e, quando una sentenza da eseguire arriva negli uffici dell’esecuzioni, deve essere inserita a mano. Con il paradosso che, con l’ormai sempre più presente digitalizzazione del processo, i magistrati e il personale che si occupano di questi fascicoli è letteralmente sommerso di carte, come accade a Milano. C’è chi, proprio negli uffici del capoluogo lombardo, parla di una vera e propria “questione settentrionale”, per cui paradossalmente alcune sedi del Nord vanno così in affanno da essere considerate disagiate: è successo a Brescia, ma anche alla stessa Torino, con tanto di benefit per chi ci lavora.

A Firenze il ministro della Giustizia ha annunciato la prevista assunzione di 3mila unità di personale amministrativo e giudiziario, l’assunzione di 360 magistrati già vincitori di concorso e il primo aumento della pianta organica dopo quasi vent’anni, pari a 600 magistrati nel prossimo triennio. Per stare ai numeri nel 2018, ma il dato è provvisorio, i procedimenti penali in Tribunale superavano il milione e 700mila fascicoli e le persone entrate in carcere l’anno passato sono 47.257 (di cui 20.245 stranieri).

La sentenza per l’omicida dei Murazzi, a Torino, Mechaquat era divenuta irrevocabile l’8 maggio 2018: “Se noi fossimo nel migliore dei mondi possibili e se il cancelliere, oltre a mettere il timbro di irrevocabilità, si fosse accorto che era stato condannato a un anno e sei mesi senza condizionale, se avesse trasmesso immediatamente l’estratto alla Procura e se la Procura avesse eseguito subito la sentenza, non avremmo nessuna garanzia che il 23 febbraio Mechaquat sarebbe stato in carcere”. Ma con zero arretrati forse sì.

Aggiornato da redazione web il 7 aprile 2019

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