L’intervista

Omicidio Serena Mollicone, il padre: “Quello di mia figlia fu omicidio di Stato, anche peggio di Stefano Cucchi”

Delitto di Arce - Il padre di Serena Mollicone: “Ora, dopo 17 anni, so di non aver lottato invano. Morì in quella caserma, era andata lì per denunciare”

21 Febbraio 2019

“Siamo in dirittura d’arrivo. Ho l’animo sollevato, non vedo più ostacoli alla verità”. Guglielmo Mollicone è il padre di Serena, uccisa nel 2001 a soli 19 anni.

La sua ricerca della verità dura da più di 17 anni?
L’ultima perizia consegnata dai carabinieri alla Procura di Cassino conferma che Serena morì dopo essere entrata nella caserma dei Carabinieri.

Lei ha detto: ‘Morta in caserma come Cucchi’.
Con la differenza che Serena era andata lì per denunciare un traffico di droga, e salvaguardare la propria vita e quella degli altri. E invece fu ammazzata. Ma il suo corpo ha parlato.

In che senso?
Non aveva solo i segni del colpo alla testa (compatibile per la famiglia con la lesione riscontrata sulla porta in caserma, ndr), ma anche di calci, pugni. Lei era a terra e hanno infierito: hanno infierito sul corpo di una ragazzina.

Per la nuova perizia è stata riesumata la salma.
Sì. Prima non volevo ‘disturbare’ il corpo di Serena, già martoriato dall’autopsia. Però poi mi sono detto: il suo corpo ha segreti da rivelare. Ora so che ho fatto bene.

Se si guarda indietro, qual è il momento che più l’ha segnata in questi 17 anni?
Il giorno dei funerali di Serena. Fui prelevato in chiesa e portato in caserma. Rimasi lì per oltre tre ore, mi fecero sedere su uno sgabello, lo stesso su cui si era seduta qualche giorno prima Serena. Una violenza inaudita, un atto privo di umanità: tenermi lontano dal feretro della mia bambina.

Ad Arce, 6mila abitanti…
Ho insegnato lì per 40 anni, le persone ci conoscono, conoscevano Serena, suonava il clarinetto nella banda di paese. I ragazzi cadevano per overdose come foglie d’autunno. Dalla scomparsa di mia figlia, questa scia di sangue si è interrotta.

In paese l’hanno sostenuta?
Sempre. Nessuno ha mai creduto al tentativo di farmi passare da colpevole… Ma le bugie e i depistaggi sono stati tanti, enormi.

Cosa l’ha colpita di più?
Penso all’arresto del carrozziere, inizialmente accusato dell’omicidio (Carmine Belli, poi assolto,ndr). Aveva in officina un biglietto scritto da Serena, con l’orario dell’appuntamento con il dentista. Volevano un colpevole, non il vero colpevole.

A chiusura delle indagini, si ridisegnerebbero ora i fatti: sua figlia sarebbe stata uccisa durante una discussione con Marco Mottola, figlio dell’ex maresciallo di Arce, all’interno della caserma dei carabinieri.
Oggi i Mottola sono indagati: marito, moglie e figlio, quel figlio che Serena voleva denunciare per lo spaccio, perché vendeva droga ai suoi amici. Il giovane potrà avere anche avuto uno scatto d’ira, ma la mia bambina poteva essere salvata e, invece, è morta soffocata, dopo aver perso tanto sangue. È morta dopo 4 o 5 ore e, non per il colpo ricevuto, ma per il sacchetto in testa che non le permetteva di respirare. Per me la colpevolezza è anche dei genitori. L’ho sempre detto.

Serena va nella caserma dove lavorava il padre del ragazzo.
Ha 18 anni, i suoi ideali, era abituata a discutere di tutti i problemi, senza timore. È stata dipinta come una ragazza dalla doppia personalità: l’hanno associata perfino alle messe nere, al satanismo, partendo dalla presenza di un 666 sul suo telefono. Lo stesso cellulare che era sparito e che poi ho ritrovato a casa… Pensare che sia stato manomesso è il minimo.

Non potrà mai sapere cosa è accaduto in caserma…
Il carabiniere che aveva registrato il nome di Serena all’ingresso, Santino Tuzi, si è suicidato nel 2008. Un ‘suicidio’ con molti elementi che non tornano. Anche la figlia di Tuzi dovrebbe far riesumare il corpo di suo padre, fu sepolto secondo me troppo in fretta.

È stato un delitto di Stato?
Sì. È accaduto in una caserma, una zona militare. La mia bambina era andata in un luogo dove si deve essere protetti, non uccisi.

Cosa chiede adesso?
Che siano arrestati i colpevoli. Arrestarono il carrozziere, al tempo, con molti meno indizi.

Ha avuto appoggio da parte delle forze dell’ordine?
Sempre. La maggior parte dell’Arma onora la divisa che indossa, non la sfrutta per rimanere impunito.

Quanta forza ci vuole per affrontare tutto questo?
Mia moglie è morta di tumore, poi mia figlia: non ho mai smesso, però, di sentire la loro forza. In questi anni sarei potuto impazzire. Serena era la mia vita, era il futuro: stavamo aspettando che scegliesse tra veterinaria o giornalismo.

Ha mai pensato di mollare?
No. Ma è arrivato il momento della stanchezza fisica. Ho 70 anni, per fortuna non li dimostro (ride). La mia vita è cambiata: ho lasciato la casa in cui abitavo, ho acceso un mutuo per una nuova. Tra quelle mura non avrei trovato il coraggio.

Ora si andrà finalmente a processo.
Non sconfessaranno il lavoro certosino fatto dai Carabinieri e dalla Procura.

Certo, ci sono voluti 18 anni…
Non ho mai capito perché. Forse c’erano coperture, interessi, giochi di potere. Le indagini sono state riaperte per tre volte, nonostante nelle ultime si fosse arrivati alle stesse conclusioni.

Stavolta cosa è cambiato?
La volontà dell’Arma e della Procura di arrivare alla verità.

Lei ha fatto spesso riferimento a un eventuale ruolo della Camorra…
Poco dopo la morte di Serena, venne sequestrata la villa di un boss degli Scissionisti. Arce è a metà strada tra Roma e Napoli: la piazza di spaccio c’era, la droga anche. Ricordo anche che il boss si affacciò alla veglia per la morte di Serena.

Lei crede?
In una entità superiore uguale per tutti che ha creato la perfezione di un mondo basato su causa e conseguenze. Ci credeva anche Serena. E ora credo nella giustizia. Di nuovo.

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