Magistratura - Omertà e paura

Caso Bellomo, agenti provocatori ai corsi tra i borsisti. Il testimone: “Il suo era un indottrinamento”

Il racconto: “Per controllare le candidate prometteva di svelare segreti industriali”. Un testimone che ha partecipato alle lezioni del consigliere di Stato dice: “Il suo era una sorta di indottrinamento”

20 Dicembre 2017

A sentirlo raccontare oggi viene quasi da sorridere, eppure per chi ha vissuto e ha partecipato ai corsi tenuti dal consigliere di Stato Francesco Bellomo, quei mesi, quei giorni, quelle ore sono state piene di paura. Il terrore del controllo soprattutto. L’ansia di finire nel mirino, di essere spiato, di cadere in un tranello ordito dal grande mentore, cultore del superomismo, perché tale, andava dicendo, deve essere il magistrato. Armando (il nome è rigorosamente di fantasia) ha vissuto quell’esperienza tragica, lui maschio e già per questo svantaggiato. “All’epoca – spiega – partecipare a quei corsi che preparano all’esame per diventare magistrato non solo era un fatto normale, ma anche ambito. Bellomo aveva grande fama”. E così, con molti sacrifici, versa la quota, circa tremila euro. “Il corso non era ancora iniziato e mi arriva un’email con diversi link che rimandavano alle varie riviste”. Lui quella email se l’è tenuta. Armando legge, ma inizia a comprendere che qualcosa non torna. Di diritto si parla poco, molto invece di Bellomo e delle sue teorie sulla vita. “Più leggevo, più restavo turbato, era una sorta di indottrinamento preventivo, ti portava a dubitare di tutte le certezze acquisite fino ad allora, e non nego che anche io ero entrato in quell’ottica”.

Il primo giorno di corso sembra uscito dalla sceneggiatura di un film su una setta moderna. “Tutti, quella mattina, erano in ansia. Aspettavano lui”. E lui arriva, giacca di pelle, t-shirt bianca, occhiali scuri, di fianco il fedele Davide Nalin (il pm di Rovigo sospeso dal Csm) che avanza con il bastone, ai lati le borsiste. Scena surreale senza dubbio. Si entra nella hall dell’hotel, poi nella sala. “I posti a sedere erano scelti da lui a seconda del quoziente che attribuiva ai vari corsisti, davanti c’erano sempre le ragazze”.

Il controllo si diceva, sulle studentesse, ma in via generale, su chiunque partecipasse ai suoi corsi. Ed ecco allora gli agenti provocatori o infiltrati. “Lui – racconta Armando – lo ha spiegato fin da subito che avrebbe mandato in giro persone per controllare. Si trattava di studenti a cui lui prometteva l’accesso a una borsa se avessero interpretato questo ruolo. Erano studenti ricattabili perché, stando agli standard di Bellomo, mai sarebbero diventati borsisti”. Ed ecco allora il terrore quotidiano. “Capitava – prosegue Armando – che qualcuno si sedesse accanto a me o ad altri e iniziasse a criticare apertamente Bellomo e i suoi corsi. Se capitava che qualcuno approvasse e andasse oltre dicendo che quel consigliere di Stato era un matto, eri finito”.

Armando ora si fa serio, mica scherza. “Io me ne stavo sempre zitto, sapevo cosa poteva succedere perché Bellomo lo aveva detto all’inizio”. Quello che poteva succedere era, in termini fantozziani, una fustigazione (metaforica) in sala mensa. “Era così – dice Armando – poteva capitare di esser insultato da lui davanti a cento persone”. E per un ragazzo di 25 anni il cui sogno è diventare magistrato non è esattamente la cosa migliore. “Ma non finiva lì; anche in Tribunale c’era questo senso di paura, perché non si sapeva mai con chi potevi parlare”.

Ma non erano solo i giudizi, c’erano anche i libri che “Bellomo vendeva a 170 euro l’uno e lo faceva nello scantinato dell’hotel”. Non lui, spiega Armando, ma la sua assistente. E allora potevi cadere nel tranello delle fotocopie. Guai a farsi beccare mentre le scambiavi. Vien da sorridere, si diceva, se tutto questo non fosse realmente successo. “Con alcuni compagni – racconta Armando – per scambiarci le fotocopie addirittura siamo andati in un’altra provincia rispetto alla città dove si teneva il corso”.

E poi c’è il capitolo femminile. Le borsiste e non solo, con le quali Bellomo ha intrattenuto relazioni sentimentali. È successo più volte, capita anche nel caso di un ragazza che viene dal sud Italia. I due stanno assieme, poi lei lo lascia. Lui perde il controllo e forse anche la testa. Inizia così la caccia alla strega. L’idea di Bellomo è quella di indire una gara a premi ma nel vero senso della parola. Il tam tam parte con le email. Spiega meglio Armando: “Dentro era specificata l’identità della ragazza con nome e cognome, dopodiché si chiedeva di seguirla, di indagare i suoi profili su Facebook e altri social”. Alla base di tutto la minaccia e la ritorsione per fatti, si badi, privati. “Il premio, poi! – Armando un po’ sorride ma non troppo –. Bellomo prometteva a chi avesse vinto di rivelare importanti segreti industriali utili per il concorso in magistratura”. Da dove arrivassero tali segreti non è dato sapere.

“In altre occasioni mi è stata raccontato da amiche, lui le chiamava alle nove di sera e le teneva al telefono fino all’alba. Tanta ossessione ha provocato in una di loro stati di ansia, a tal punto d’avere attacchi di panico quando calava il sole, perché sarebbe arrivata la telefonata”. Alla fine la ragazza molla il corso e perde, addirittura, una parte di soldi. Già perché i soldi, alla fine di tutto, sembrano il motore reale di questa storia.

Soldi in nero, come è stato spiegato da altri testimoni, ma anche da Armando che svela un particolare in più: “Lezioni private da 250 euro a testa, tenute nelle hall degli alberghi e solo per avere da Bellomo la previsione delle tracce del giorno successivo”. Più che un consigliere di Stato, un mago o un santone. Ma alla fine qualcuno ha vinto quella gara a premi? “Sì – conclude Armando – furono due studentesse”. Meglio non dire altro. Il resto sta nelle carte di due Procure che indagano su Bellomo e sul pm Davide Nalin. Accuse: minacce, lesioni, estorsione.

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