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Habermas e la non vittoria dell’Ucraina: i modi per dire pace

23 Febbraio 2023

Mentre si avvicina il più terribile degli anniversari, il primo anno della guerra Russia-Ucraina, e la contabilità dei morti si aggira sul numero spaventoso di trecentomila vittime, Jürgen Habermas comincia così un lungo, e interessantissimo, intervento sulla Süddeutsche Zeitung (tradotto in Italia da Repubblica): “La decisione di fornire carri armati Leopard era stata appena salutata come ‘storica’ che già la notizia veniva superata – e relativizzata – da tonanti richieste di aerei da combattimento, missili a lungo raggio, navi da guerra e sottomarini”. E domanda, a sé e al mondo, se l’obiettivo delle nostre forniture di armi sia che l’Ucraina “non perda la guerra”, o piuttosto la “vittoria” sulla Russia? È una differenza solo apparentemente irrilevante. È giusto dire che Kiev non può perdere la guerra: “Il punto per me è il carattere preventivo di negoziati in tempo utile a impedire che una guerra lunga mieta ancora più vittime e distruzioni e ci ponga alla fine di fronte a una scelta obbligata: o entrare attivamente in guerra oppure, per non scatenare la prima guerra mondiale tra potenze dotate di armi nucleari, lasciare l’Ucraina al suo destino”. La differenza “concettualmente ambigua” non c’entra, secondo Habermas, con il pacifismo: “Il movimento pacifista nato alla fine del Diciannovesimo secolo ha politicizzato la dimensione violenta delle guerre, ma il vero punto non è il graduale superamento delle guerre come mezzo di risoluzione dei conflitti internazionali, bensì il rifiuto totale di imbracciare armi. Pertanto il pacifismo non gioca alcun ruolo in questi due punti di vista, che si differenziano in base al peso attribuito alle vittime della guerra”.

Il filosofo ribadisce quel che è chiaro a tutti (carta dell’Onu alla mano, articolo 2) e cioè che non si può mettere in dubbio la responsabilità dell’aggressore russo. Ma possiamo fermarci a questa constatazione e proseguire con i toni che hanno caratterizzato queste giornate di anniversario e che sembrano portare inevitabilmente a una escalation? Il presidente polacco Andrej Duda ha detto: “l’Ucraina deve vincere e per questo la aiutiamo; la Russia se ne andrà con vergogna”. E Putin, ricordando la potenza nucleare della Russia: “Faremo di tutto per raggiungere la vittoria”. In questa situazione, “diventa reale il rischio di aggirarsi come sonnambuli sull’orlo dell’abisso, perché l’alleanza occidentale non solo sostiene l’Ucraina, ma ribadisce instancabilmente che sosterrà il governo ucraino ‘per tutto il tempo necessario’ e che la decisione circa tempi e obiettivi di possibili negoziati spetta esclusivamente al governo di Kiev”. Gli obblighi (non solo morali, anche giuridici) dei Paesi occidentali non si fermano al sostegno all’Ucraina: per gli Stati non belligeranti valgono gli articoli dal 51 al 54 della Carta dell’Onu (si devono adottare iniziative straordinarie finalizzate alla pace e alla sicurezza internazionale). Dice ancora Habermas: “I governi occidentali non possono scaricare sul governo ucraino la responsabilità delle brutali conseguenze di un prolungamento delle ostilità, possibile solo grazie al sostegno militare offerto”. E in conclusione: “Proprio perché il conflitto tocca una rete di interessi più ampia, non si può escludere fin dall’inizio la possibilità di trovare, anche per le istanze al momento diametralmente opposte, un compromesso che salvi la faccia a entrambe le parti”.

Bisogna ricordare l’ovvio: tutte le guerre sono finite con un trattato di pace. Dal primo che si dice essere il Trattato di Qadeš – datato 1274 a. C. che pose fine alla guerra tra il Regno d’Egitto e l’Impero ittita – fino al Trattato di Helsinki del 1975, che ha segnato un passo decisivo verso la fine della Guerra fredda. Per quanto le posizioni siano irreconciliabili, l’unica strada è quella negoziale: le alternative, come detto qui sopra, sono inaccettabili.

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