Saint Vincent - Rischia una fine ingloriosa

Casino alla roulette: da bancomat a incubo della Valle d’Aosta

Mito infranto - La celeberrima sala da gioco rischia di chiudere definitivamente tra debiti, guai giudiziari e la crisi che il Covid ha reso irreversibile

1 Agosto 2020

Rien ne va plus. Il Casino di Saint Vincent rischia di chiudere roulette, baccarat e slot machines. Un pasticciaccio giudiziario, ma che potrebbe trasformarsi in un vero e proprio fallimento, pronto a portarsi via 71 anni segnati dai grandi introiti per la Regione autonoma (milioni e milioni di euro nei decenni): una sorta di “superbancomat” per le casse della Vallée, ma pure per alcuni politici e amministratori locali. E con essa, tutte le ambiguità morali e di legalità che hanno intrecciato una narrazione cominciata nel 1949, quando lo Stato italiano decise di aprire anche il Val d’Aosta una “zona franca” rispetto al “pregiudizio” pubblico per il gioco d’azzardo.

Una storia sbagliata che non si è fatta mancare nulla: sospetti di infiltrazioni mafiose, un attentato dinamitardo contro un pretore che indagava sul Casino, una pista che porterebbe addirittura all’omicidio del procuratore capo di Torino, Bruno Caccia, ucciso nel 1983 dai sicari della ’ndrangheta. E poi, nelle varie stagioni della politica locale tra la Prima e la Seconda Repubblica, una serie di scandali quasi fotocopia, con compromissioni soprattutto di alcuni leader del partito autonomista dell’Union Valdôtaine.

Ma veniamo intanto alla cronaca di oggi. Una sentenza di inizio luglio della Corte d’Appello di Torino, arrivata proprio dopo la riapertura post-pandemia, ha accolto il ricorso di due creditori e ha disposto la revoca dell’ammissione al concordato preventivo, concesso dal Tribunale di Aosta il 22 ottobre 2019. Un colpo di scena che ora pesa sul tentativo di salvataggio della società di gestione, Saint-Vincent Resort & Casino (oltre alla casa da gioco, amministra l’adiacente Hotel Billia) e che di fatto cristallizza la situazione al novembre 2018, quando la Procura di Aosta presentò un’istanza di fallimento “per la grave insolvenza”. Con una circostanza paradossale: la dura “ristrutturazione”, fissata dal concordato, aveva chiuso il bilancio 2019 con un utile di 13,5 milioni di euro. Ora è tutto nelle mani del Tribunale aostano: nel caso ci fossero le condizioni per un controverso ricorso in Cassazione, scatterebbe la sospensione della revoca. Altrimenti, il Tribunale dovrà valutare se la situazione finanziaria “attuale” può o no giustificare il fallimento della società. Uno scenario molto incerto, per una sala da gioco (una delle quattro italiane, con Campione d’Italia, Venezia e Sanremo, tutte in difficoltà nell’epoca dei casino online) che negli anni 60 e 70 aveva vissuto giorni degni della letteratura mitteleuropea del gioco d’azzardo, anche grazie a eventi come le Grolle d’oro del cinema e il Premio giornalistico Saint-Vincent. Quando Casino e Billia accoglievano Alberto Sordi e Sophia Loren, Vittorio Gassman e Gina Lollobrigida, Giulietta Masina e Federico Fellini. Fasti rinverditi, a cavallo del nuovo secolo, in chiave calcistica: Saint-Vincent cominciò a ospitare i ritiri estivi della Juventus di Moggi e Giraudo.

L’istanza di fallimento era scaturita da un’inchiesta penale per bancarotta. L’ennesimo incidente in una vicenda tormentata che non si è mai risolta dal punto di vista finanziario e che può avere effetti pesanti proprio per la Regione: che detiene il controllo della società ed è al centro di polemiche per la malagestione.

I soldi del Casino, a lungo, avevano rimpolpato l’ente locale e di fatto erano una riserva di vita per tutti i valdostani, pietra miliare di quelle esenzioni “cuore” dell’autonomia regionale cui la Valle d’Aosta approdò dopo le smanie separatiste verso la Francia di De Gaulle seguite alla fine della guerra.

Infine, un “posto fisso” sicuro, ancora una volta gestito dalla politica per le assunzioni: tramandate di padre in figlio e con ottimi stipendi arrotondati dalla cagnotte, la mancia dei vincitori per croupier e addetti di sala.

Nello stesso tempo, però, Saint-Vincent era diventata anche il teatro di pratiche ai limiti della legge: dai “prestasoldi”, gli usurai che la bazzicavano e la intimidivano per offrire prestiti-capestro ai giocatori incalliti, sino alle mire dei clan mafiosi che intravedevano un’immensa occasione di riciclaggio del denaro sporco. Una realtà scoperchiata la notte dell’11 novembre del 1983, quando scattò il “blitz della San Martino”, con la Guardia di Finanzia nei saloni dei quattro casino italiani, a caccia delle corruzioni dei politici locali, ma soprattutto della penetrazione delle cosche di Cosa Nostra italiana e statunitense (la “famiglia” dei Bono) nella loro gestione.

L’inchiesta su Saint-Vincent era stata avviata poco prima dal procuratore Caccia, ucciso la notte di domenica 26 giugno 1983, mentre in Italia si svolgevano le elezioni politiche anticipate. L’avvocato di parte civile della famiglia Caccia, Aldo Repici, sostiene che proprio quella su Saint-Vincent sarebbe stata una delle indagini scomode che armò i killer calabresi contro un magistrato troppo pericoloso per le mafie trapiantate al Nord. E non ha mai smesso di legare quell’omicidio a un altro attentato, per fortuna fallito, del 1982: un’autobomba per il pretore di Aosta Giovanni Selis, il primo a cercare di far luce (inascoltato, anzi definito “un matto”) sul sistema dei “prestasoldi”.

Adesso le vicende giudiziarie che riguardano il Casino hanno risvolti meno violenti, ma riportano in campo l’intreccio perverso attorno alla politica. E, come in una mano di poker, l’ultimo azzardo è nelle interpretazioni di diritto societario del Tribunale di Aosta.

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